Aglianico del Taburno DOCG
Atlante dei prodotti tipici - Vini DOCG

Zona di produzione e storia

Le uve destinate alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata e garantita «Aglianico del Taburno» devono essere raccolte nella zona di produzione che comprende l'intero territorio amministrativo dei comuni di Apollosa, Bonea, Campoli del Monte Taburno, Castelpoto, Foglianise, Montesarchio, Paupisi, Torrecuso e Ponte ed in parte il territorio dei comuni di Benevento, Cautano, Vitulano e Tocco Caudio, tutti in provincia di Benevento.

Di fondamentale importanza nella produzione del vino Aglianico del Taburno DOP sono i fattori umani legati al territorio di produzione.
In base ai ritrovamenti effettuati ed a studi realizzati si può affermare che la coltivazione della vite nella provincia di Benevento ha origini antiche risalenti al II secolo a.C.
Nel paese di Dugenta fu ritrovato un imponente deposito, con relativo forno di produzione, di anfore utilizzate per la conservazione ed il commercio del vino. Gli studiosi hanno convenuto che sicuramente questa era una fabbrica di anfore costruita in una area particolarmente idonea alla produzione e allo smercio del vino, situata lungo la riva sinistra del fiume Volturno del quale è affluente il fiume Calore che attraversa l’intera provincia di Benevento.
Le anfore ritrovate in provincia di Benevento, venivano prodotte solo in due luoghi, a Dugenta e ad Anzio e venivano utilizzate in un area compresa tra l’Etruria meridionale, Lazio, Campania e Sannio. Sicuramente il paese di Dugenta rivestiva un ruolo importante nella commercializzazione dei vini in epoca romana, in quanto la produzione di vino soddisfaceva abbondantemente la richiesta locale e quindi il vino veniva venduto anche al di fuori dei confini regionali, questo è testimoniato dal fatto che anfore realizzate a Dugenta sono state ritrovate in Inghilterra del sud e Africa del nord.
Gran parte del vino prodotto nella provincia di Benevento e quello proveniente anche da altre parti d’Italia veniva venduto al mercato vinicolo di Pompei secondo solo a quello di Roma.
In base agli studi effettuati da Attilio Scienza, una forte classe di produttori di vino di origine sannita sarebbe stata presente nella composizione etnica di Pompei, a conferma che la cultura del vino nel Sannio è stata contemporanea se non precedente, all’epoca romana.
Il Sannio per molti secoli ha rappresentato il collegamento naturale tra la Puglia e la Campania.
Attraverso i sentieri della transumanza i Sanniti hanno conosciuto il mondo del vino Abruzzese e Pugliese attraverso i quali hanno portato nel Sannio i vitigni greci dell’Epiro.
Attilio Scienza afferma che del vino sannita troviamo citazioni di Platone comico, commediografo ateniese della seconda metà del V secolo a.C., che parlava dell’eccellente vino di Benevento dal lieve aroma fumé ; inoltre secondo Scienza del vino sannita ne parla anche Plinio nella Naturalis Historia, il quale sosteneva che il vino Kapnios avesse nel Sannio una delle sue patrie d’elezione. Il sapore fumé del vino Kapnios potrebbe non solo essere derivato da una tecnica di appassimento delle uve o dall’affumicamento di queste, ma addirittura dalle caratteristiche stesse dell’uva.
Un’altra importante testimonianza che i Sanniti si dedicassero alla coltivazione della vite e alla produzione del vino, è che quando sul finire del V secolo a.C. famiglie di stirpe sannita si stabilirono nella Valle del Volturno, si è avuto uno sviluppo economico di queste area grazie alla produzione del Trebula balliensis, così come riferito da Plino il vecchio nella sua Naturalis Historia.
Nel beneventano come nel resto della Campania la viticultura conobbe una crisi dovuta al cambiamento del gusto del mercato romano che scoprì i vini più leggeri e profumati dell’Italia settentrionale e della Gallia. Il primo vino Gallico arrivò a Roma nel 79 d.C.
Un inversione di tendenza la si ebbe solo intorno al 500 d.C. grazie ai Longobardi, che non solo importarono vitigni di origine pannonica, ma protessero le vigne dall’espianto addirittura con la pena di morte.
Anche Carlo Magno si occupò attraverso il Capitulare de Villis della cura della vite, ma fu grazie alla chiesa che intorno all’anno 1000 si ebbe il definitivo rilancio della coltivazione della vite che coinvolse anche il territorio sannita. Fu proprio un sacerdote, il vescovo di Benevento Landulfo, a pretendere che vicino ad ogni monastero fossero impiantati dei vigneti, favorendo il rilancio della viticultura soprattutto nella zona di Solopaca come dimostra la presenza di venditori di vino in documenti del 1100.
In questo periodo, e fino al 1400, molti vini beneventani grazie alla possibilità di sfruttare i fiumi navigabili che attraversavano la provincia, arrivavano ai porti di Gaeta e di Napoli i più grandi porti di smistamento dei vini per l’intero Mediterraneo e per i mari del Nord.
A Napoli in quegli anni venivano trasportati ingenti quantità di vino dall’entroterra Beneventano ed Avellinese, ed assieme ai vini fermi venivano trasportati anche vini dolci molto richiesti dal mercato europeo in quel periodo.
La classe mercantile beneventana in quegli anni diventò la più forte della regione Campania, in quanto poteva godere degli enormi benefici derivanti dal fatto che i territori della provincia di Benevento erano sotto il governo dello Stato della Chiesa.
Per una prima descrizione su base scientifica della viticoltura beneventana dobbiamo attendere la Statistica murattiana del 1811, il primo e vero studio del territorio sannita che ha permesso di conoscere le produzioni della provincia di Benevento e di ricostruire le condizioni economichesociali e gli stili di vita della popolazione sannita.
Da questo studio si evince che che la provincia di Benevento produceva vini che soddisfacevano le diverse richieste del mercato infatti il vino di Cerreto Sannita veniva considerato molto pregiato assieme a quello di Solopaca, Frasso Telesino, Melizzano e venivano venduti sul mercato regionale ed extra-regionale; quelli di Sant’Agata dei Goti venivano venduti solo sul mercato provinciale, mentre a Guardia Sanframondi si produceva un vino dolce e liquoroso simile a quello di Malaga.
Da Cerreto Sannita e Guardia Sanframondi partiva nel 1811 il più alto numero di barili di vino per la capitale, 79.229, contro i 31.281 di Airola, i 12.557 di Solopaca e i 10.470 di Sant’Agata dei Goti.
Per quanto riguarda il numero di vigne Cerreto Sannita e Guardia Sanframondi non superavano di molto Solopaca infatti nei due comuni se ne trovavano circa 3.480 ed invece nel solo comune di Solopaca se ne potevamo trovare circa 2.880.
Sempre agli inizi dell’Ottecento c’è testimonianza di un ottimo vino prodotto anche nei comuni di Pontelandolfo, Baselice e Foiano in Val Fortore.
Nel 1872 un grosso studioso, Giuseppe Frojo, incominciò a parlare di vitigno in senso scientifico e sostienne che le migliori uve della regione Campania erano il Pallagrello, oggi diffuso solo nella provincia di Caserta, ma lodava anche le uve Aglianico, Sciascinoso, il Piede di Colombo (Piedirosso), Greco e Fiano, tutti vitigni coltivati nella provincia di Benevento.
Circa venti anni dopo Frojo, fu il Ministero dell’Agricoltura a fare un’accurata analisi delle uve presenti su territorio sannita.
L’Aglianico restava il vitigno predominate, seguito dal Piedirosso, l’Aglianicone, il Gigante, il Mangiaguerra, la Tintiglia di Spagnala Vernacciola e il Sommarello.
Tra i vini a bacca bianca si notano il Bombino, l’Amoroso bianco, la Passolara, il Greco, la Malvasia, il Moscatello e la Coda di Volpe.
In questo periodo il vino prodotto è destinato al consumo interno, in quanto in provincia di Benevento stava nascendo una classe borghese più attenta e sensibile alla buona tavola, ma anche trasportato il nord Italia in quanto molto apprezzato e richiesto.
Negli anni in cui Frojo compiva i suoi studi, la superficie vitata della provincia di Benevento era rappresentata da poco più di 15.000 ettari, estensione che pur ponendo la provincia ultima nella classifica regionale, la rendeva seconda sola a Napoli per rapporto fra territorio e superficie, mentre a partire dal 1904 e almeno fino al 1924 i terreni a vigna erano più che raddoppiati. Negli anni che andavano dal 1896 al 1910 il vigneto sannita si arricchì di 8.046 ettari, pari ad un incremento del 46%.
Dopo l’unità d’Italia nel vigneto sannita vengono coltivate anche altri tipi di vitigni nazionali ed internazionali come il Sangiovese, Barbera, Cabernet Sauvignon, Malbek, Sirah, Erbaluce, Semillon, Pinot e Riesling renano.
Dopo le due grandi guerre mondiali, vi fu un risveglio in tutti i settori produttivi che influenzò anche quello agricolo, e nella provincia di Benevento si verificò che i contadini, fino ad allora solo conduttori dei terreni, ne acquisirono anche le proprietà. In questo periodo la produzione delle uve aumentò sensibilmente nella provincia di Benevento, favorendo da una parte la nascita del primo Enopolio nella provincia a Solopaca che vantava una capacità di 13 mila ettolitri contro i soli cinquemila dell’Enopolio napoletano, ma dall’altra lo sfruttamento dei grossi mediatori nei confronti dei piccoli produttori.
In realtà neanche la creazione dell’Enopolio di Solopaca contribuì a migliorare la condizione dei piccoli produttori e quindi nacquero con il passare degli anni le quattro Cantine sociali ancora oggi operanti sul territorio sannita, La Guardiense, la Cantina sociale di Solopaca e La Cantina del Taburno e il CECAS (Centro Cooperativo Agricolo Sannita).
Il compito fondamentale delle cantine sociali fu quello di raccogliere, trasformare e vendere, le uve provenienti dalle diverse zone della provincia di Benevento, in modo da sostenere i piccoli produttori e favorire lo sviluppo della viticoltura nel Sannio.. (Disciplinare di produzione)

Aglianico del Taburno Consorzio di tutela Vini del Sannio - Aglianico del Taburno DOCG

Vitigni - Grado alcolometrico minimo - Invecchiamento e qualifiche

I vini a denominazione di origine controllata e garantita “Aglianico del Taburno” devono essere ottenuti da uve provenienti da vigneti, aventi nell’ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica:
Aglianico del Taburno rosso, rosato, rosso riserva o riserva: Aglianico, minimo 85%; per la restante parte possono concorre altri vitigni a bacca nera, non aromatici, idonei alla coltivazione in provincia di Benevento fino ad un massimo del 15 %.

I vini a denominazione di origine controllata e garantita Aglianico del Taburno all’atto dell’immissione al consumo deve rispondere alle seguenti caratteristiche:

Aglianico del Taburno rosso o Aglianico del Taburno:
titolo alcolometrico volumico minimo totale: 12,00%v ol;
acidità totale minima: 5,0 g/l;
estratto non riduttore minimo: 24,0 g/l.

Aglianico del Taburno rosato:
titolo alcolometrico volumico minimo totale: 12,00% vol;
acidità totale minima: 5,0 g/l;
estratto non riduttore minimo: 19,0 g/l.

Aglianico del Taburno rosso riserva o Aglianico del Taburno riserva:
titolo alcolometrico volumico minimo totale: 13,00% vol;
acidità totale minima: 5,0 g/l;
estratto non riduttore minimo: 26,0 g/l.

È facoltà del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, con proprio decreto, stabilire limiti minimi diversi per l’acidità totale e l’estratto non riduttore minimo.

Grado alcolometrico minimo - Caratteristiche organolettiche

I vini a denominazione di origine controllata e garantita Aglianico del Taburno all’atto dell’immissione al consumo deve rispondere alle seguenti caratteristiche:

Aglianico del Taburno rosso o Aglianico del Taburno:
colore: rosso rubino più o meno intenso, tendente al granato con l’invecchiamento;
odore: caratteristico, persistente;
sapore: secco, di corpo.

Aglianico del Taburno rosato:
colore: rosa più o meno intenso;
odore: delicato, fresco, fruttato;
sapore: secco, armonico, fresco, fine.

Aglianico del Taburno rosso riserva o Aglianico del Taburno riserva:
colore: rosso granato intenso;
odore: caratteristico, persistente;
sapore: secco,armonico e di corpo.

In relazione alla eventuale conservazione in recipienti di legno il sapore dei vini può rilevare lieve sentore di legno.

Abbinamenti e temperatura di servizio

Aglianico del Taburno rosso: Si accompagna ad arrosti di carni bianche e rosse, pollame, pollame nobile e selvaggina, anche in preparazioni elaborate. La temperatura di servizio è di circa 18°C.
Aglanico del Taburno rosato: vino da tutto pasto e da dessert. Temperatura di servizio 12°C.

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