Metodo HACCP - Settore vinicolo - Industrie agrarie

Metodo HACCP - Settore vinicolo (applicazione del D.Lgs. 155/97)

Il Ministero della Sanità, con il Decreto Legislativo 155/97, ha concluso l’iter di recepimento della Direttiva Comunitaria n. 43 del 1993, che ha di fatto esteso agli operatori del settore alimentare (con l’unica esclusione dei produttori di materie prime, ad esempio le aziende agricole il cui ciclo produttivo si conclude con la raccolta o con la mungitura) l’obbligo di mettere in atto un sistema di autocontrollo igienico finalizzato a tutelare la salute del consumatore.
La metodologia da adottare per organizzare il sistema di autocontrollo, è quella che prevede un’analisi svolta secondo il cosiddetto metodo Hazard Analysis Critical Control Point (HACCP).
La vera novità che di fatto verrà introdotta anche in alcune “aziende agricole” non è tanto riscontrabile in termini di prescrizioni strutturali aggiuntive rispetto alla precedente normativa in vigore, ma in termini di consapevole e “responsabile” gestione dell’elemento “sicurezza” dell’alimento nei confronti del consumatore.
L’adozione da parte delle imprese agricole di specifici e mirati sistemi di autocontrollo è prevista dal punto IV B. 4.2 del Piano Regionale di “Programmazione e coordinamento degli interventi in materia di vigilanza degli alimenti e delle bevande” approvato con Deliberazione del Consiglio Regionale n° 55 del 17/03/1998.
Le indicazioni di seguito riportate sono orientate al settore vinicolo.
Il vino per la sua specifica composizione, grado alcolico e acidità, non rappresenta un substrato idoneo per lo sviluppo di microrganismi patogeni pericolosi per il consumatore.
Oltre ai limitati rischi microbiologici risultano improbabili anche le contaminazioni chimiche derivanti dall’uso di fitofarmaci utilizzati per la difesa del vigneto ed in particolare per la Toscana dove la massiccia adesione ai programmi di difesa integrata e di lotta biologica costituiscono una adeguata misura di prevenzione.
I dati statistici disponibili non evidenziano inoltre particolare rilevanza dei rischi di natura particellare (frammenti di vetro) nel prodotto imbottigliato.
Dal punto di vista dell’impatto ambientale la produzione ed elaborazione di vini, non è qualificabile come attività a rischio. Del resto i sottoprodotti della lavorazione devono, per prescrizione normativa essere consegnati alle distillerie per la loro distruzione od elaborazione.

IL METODO HACCP

Nel comma 2 dell’articolo 3 del D.Lgs. 155/97 è indicato che il sistema da adottare per procedere all’analisi dei pericoli che potrebbero verificarsi, in un qualsiasi processo produttivo alimentare, è il metodo di analisi identificato dalla sigla HACCP (Hazard Analysis Critical Control Point) ossia Analisi dei Rischi – Punti Critici di Controllo (o Prevenzione).
In pratica il metodo parte dalla ricerca di tutti i pericoli che potrebbero insorgere durante il processo produttivo, effettuata mediante l’analisi del diagramma di flusso e quindi delle singolo fasi produttive.
Ogni fase produttiva dovrà essere sottoposta ad accurata analisi in modo da evidenziare se durante il suo svolgersi possono manifestarsi dei pericoli (es. contaminazioni microbiologiche, rilascio di sostanze chimiche pericolose, contaminazioni particellari) e se esistono misure di controllo che possono essere adottate per ogni singolo pericolo.
Successivamente, in base all’esperienza ed alla documentazione ufficiale, si procederà ad una selezione dei pericoli banali o con una bassissima possibilità di manifestazione o sviluppo, che quindi non richiedono la messa a punto di procedure in grado di controllarli, e pericoli che invece per la loro gravità richiedono uno specifico sistema di prevenzione.
E’ molto importante chiarire che con il termine “critico” (altrimenti traducibile con decisivo, basilare, sostanziale) viene messo in evidenza che tale metodologia ha lo scopo di attuare solo sistemi di prevenzione sicuramente efficaci (solo il controllo di pochi fattori ha una sostanziale efficacia per prevenire l’insorgenza di un rischio).
Tale controllo deve avvenire definendo una serie di procedure basate su un’attività di prevenzione organizzata sistematicamente e documentata in ogni sua fase.
Per definire un sistema documentato è indispensabile fissare i limiti dei parametri critici (es. limiti temperature accettabili, limiti concentrazione di certe sostanze, limiti presenza microrganismi, ecc.) da tenere sotto controllo in modo da intervenire con la azioni correttive solo quando tali parametri vengono superati.
Al fine di poter procedere ad una valutazione oggettiva dei parametri critici, occorre mettere in atto un sistema di monitoraggio dei dati critici da tenere sotto controllo: quando il monitoraggio indica il superamento dei limiti prefissati e quindi una “non conformità”, si deve intervenire con le previste azioni correttive, a loro volta procedurate e sottoposte a valutazione di efficacia.
Il monitoraggio consente di controllare la conformità delle varie operazioni alle condizioni operative prestabilite; se ad esempio un CCP richiede il controllo di un parametro ambientale entro i limiti prefissati, il monitoraggio consente una verifica della rispondenza di tale parametro ai limiti stabiliti.
L’insieme dei vari CCP e delle procedure di prevenzione dei pericoli igienici per il consumatore, inerenti i prodotti alimentari lavorati in azienda, costituisce il “Sistema di Autocontrollo Igienico” dell’azienda stessa, che dovrà essere descritto nel Manuale Aziendale di Autocontrollo dell’Igiene.
Un altro elemento importante della metodologia HACCP è la verifica dell’efficacia delle attività preventive e di controllo al fine di accertare che il meccanismo di autocontrollo garantisca ragionevolmente in ordine alla sicurezza igienico sanitaria del prodotto.
A questo proposito c’è da rilevare che i principi dell’HACCP fanno riferimento alle verifiche di efficacia, riguardano due differenti livelli:
1) l’efficacia dei controllo sui singoli punti di prevenzione (CCP);
2) l’efficacia dell’intero sistema.
Il livello di verifica riferito ai CCP, riguarda la verifica periodica del funzionamento del sistema a livello di singolo punto critico: ad esempio, nel caso in cui sia stato individuato un “pericolo roditori”, un intervento di monitoraggio con esche per roditori che evidenzi l’assenza di infestazione, è la prova che le misure preventive adottate rispetto al pericolo risultano efficaci.
In relazione al livello di verifica sull’intero sistema di autocontrollo, è lecito pensare, in assenza di chiarimenti e specificazioni del caso, che il complessivo buon funzionamento possa essere accertato tramite controlli periodici sul prodotto finito e/o semilavorati (soprattutto di tipo analitico) e/o mediante altre analisi (es. tamponi su superfici, impianti, persone, ecc.) da cui emerga la conformità alle specifiche igieniche.
Ciò premesso, si evince facilmente che una procedura sistematica di verifiche, sia a livello dei singoli CCP, che a livello dell’intero sistema, implicherebbe l’esecuzione di un numero elevato di analisi, misure e verifiche ispettive, tale da risultare insostenibile sotto il profilo organizzativo e finanziario per aziende di dimensioni modeste e non dotate di laboratorio di analisi interno.
Occorrerà pertanto prevedere un meccanismo di verifica semplificato, così ipotizzabile:
1. attuazione di sistemi di verifica periodica, a valle dei CCP, per accertarsi del buon funzionamento delle misure preventive e del sistema di monitoraggio messo in atto. Sarà opportuno privilegiare sistemi di controllo visivo e/o con strumenti di facile applicazione;
2. verifica periodica, da stabilire in funzione del livello di rischio connesso al prodotto, dell’efficacia complessiva del sistema, con analisi di conformità del prodotto finito alle specifiche igienico sanitarie.
In conclusione occorre ricordare che il sistema di autocontrollo aziendale deve essere riveduto ogni volta che vengono apportate modifiche al processo di lavorazione che potrebbero influire sugli aspetti igienici del prodotto. Quindi il sistema stesso, il manuale e tutte le procedure non costituiscono un insieme statico, ma in continua evoluzione e miglioramento.

Diagramma di flusso

Per poter applicare la metodologia HACCP occorre mettere a punto un diagramma di flusso che rappresenti tutte le fasi produttive che avvengono in azienda.
Può essere adottata la simbologia secondo gli standard definiti dalla norma UNI-ISO 9004-4, ossia per le materie prime ed il prodotto finito l’ellisse, per le operazioni/fasi il rettangolo, il triangolo per i sottoprodotti e gli scarti, il quadrato per i semilavorati. Le frecce mostrano la direzione del flusso produttivo. Resta inteso che l’illustrazione del diagramma di flusso può essere fatta anche in forma descrittiva o in ogni altra forma semplificata.

Analisi dei pericoli e delle loro cause

Il passo successivo alla descrizione del diagramma di flusso è l’identificazione dei punti di rischio ossia della fase, della procedura, dell’operazione, della materia, della macchina/impianto dove si può individuare un pericolo o dove certe condizioni possono rendere concreta la presenza di rischi per la salute del consumatore.
E’ fondamentale a questo punto, capire per ogni pericolo individuato, quali possono essere le cause che potrebbero provocare la contaminazione del prodotto finito ed è necessario considerare sia l’origine della contaminazione sia la probabilità che il pericolo possa propagarsi lungo il resto del processo produttivo fino a ritrovarsi nell’alimento destinato al consumo.
Tali cause si dividono in due tipologie:
· cause che possono ritrovarsi ad ogni livello del ciclo produttivo e sono dovute al personale, alle strutture edilizie ed ai servizi, all’ambiente esterno;
· cause che possono presentarsi in punti specifici del processo e sono dovute alle materie prime e secondarie/accessorie (es. nel vino additivi, coadiuvanti, bottiglie), agli impianti e macchinari, alle condizioni operative.
E’ inoltre importante ricordare che occorre attuare un sistema di prevenzione e controllo documentato dedicato solo ai pericoli più gravi e mettere in atto procedure di prevenzione e controllo veramente efficaci, che vadano sicuramente a eliminare e/o ridurre il pericolo, evitando di effettuare analisi o controlli eccessivi che appesantirebbero inutilmente il Sistema di Autocontrollo Igienico Aziendale, con costi e tempi non sopportabili dall’azienda.

Analisi dei rischi, metodologie di prevenzione e controllo

Sulla base dell’analisi dei due diagrammi di flusso (generici), di produzione dei vini rossi e bianchi, sono state individuate quelle fasi potenzialmente “pericolose” per la salute del consumatore.
Per valutare l’opportunità di sottoporre tali pericoli ad un “sistema di prevenzione documentato” (CCP) è stata considerata sia la gravità dei danni, che tali pericoli potrebbero provocare, sia la probabilità che tali contaminazioni possano realmente insorgere.
Tali considerazioni sono state effettuate tenendo conto di quanto riportato in letteratura e sulla base delle conoscenze specifiche del gruppo di lavoro.
Dall’analisi è scaturito che tali pericoli si possono ricondurre a due tipologie:
· un tipo di pericolo che può essere ragionevolmente annullato con azioni preventive, sostanzialmente riconducibili a delle buone pratiche di lavorazione e di corretta prassi igienica e/o attraverso opportune misure di controllo;
· un tipo di pericolo il cui controllo necessita di un sistema di prevenzione documentato (CCP) e quindi la messa in atto di procedure scritte di monitoraggio.

Applicazione dell’analisi dei rischi

Di seguito vengono descritti i metodi di prevenzione che si intende suggerire per evitare, o tenere sotto controllo, i rischi precedentemente individuati nel processo produttivo del vino:
a) Arrivo uva – il rischio dei residui di fitofarmaci nel vino non è molto probabile, inoltre i danni che potrebbero provocare al consumatore sono piuttosto lievi in considerazione delle basse quantità che potrebbero essere assorbite; si è ritenuto quindi che tale fattore possa essere tenuto sotto controllo con un’azione preventiva data dal rispetto documentato dei tempi di carenza oppure con una dichiarazione firmata di tale rispetto da parte del conferitore;
b) Piagiatura e diraspatura – la presenza di ioni metallici nel vino dovuta alla cessione degli organi lavoranti che possono intervenire in queste due fasi, è risolvibile con impianti adeguati al trattamento di alimenti;
c) Solfitazione – il rischio di presenza oltre i limiti legali di anidride solforosa nel mosto o vino è abbastanza frequente. In considerazione di ciò si è ritenuto opportuno suggerire di mettere in atto una azione preventiva ed anche un CCP mediante una procedura documentata che consiste in un programma scritto (procedura ed istruzioni operative), dove tutti gli interventi di solfitazione che avvengono nel processo, debbano essere registrati (schede di registrazione dei trattamenti e delle non conformità) in modo da rispettare i limiti di legge. A tale proposito si raccomanda di stabilire dei limiti indicativi per l’impiego di anidride solforosa e dei suoi sali in modo da garantire, in tutte le fasi del processo che prevedono questa attività, sufficienti margini di operatività;
d) Uso di coadiuvanti e/o ulteriori additivi – abbiamo detto che questa in fase può avvenire l’insorgenza del pericolo di ritrovare nel vino eventuali residui, che potrebbero causare fenomeni di tossicità; la probabilità di tale evento è piuttosto esigua e può essere ulteriormente abbassata con l’utilizzazione di sostanze ad uso enologico provviste della certificazione di legge;
e) Fermentazione – durante questa fase si può determinare la formazione eccessiva di metanolo, del quale è ben nota la pericolosità. Sono documentati dei casi di avvelenamento da metanolo dovuto o a frodi, peraltro oggi difficilmente ripetibili, od alla fermentazione di un eccessiva quantità di parti legnose nel mosto; la frequenza di tale rischio è comunque molto bassa e pertanto, sebbene il danno che potrebbe provocare sia grave, la sua scarsa probabilità di manifestarsi non giustifica la messa a punto di un CCP; si raccomanda però di adottare tecniche di vinificazione in rosso adeguate.
Nel caso di utilizzazione di vini di origine diversa (extraziendale) impiegati per il taglio dei vini da tavola, si consiglia come azione preventiva al pericolo “metanolo” di richiedere una adeguata garanzia da parte del fornitore.
Durante la fermentazione, a causa delle reazioni chimiche e dei prodotti che si formano, possono essere rilasciati dai vasi, dalle cisterne o dalle vasche, delle sostanze estranee che possono ritrovarsi come inquinanti nel vino; anche tale evento è così basso ed il danno che potrebbe provocare così esiguo che per evitarlo è sufficiente seguire la raccomandazione di utilizzare contenitori “per alimenti”, come già detto nel capitolo delle buone pratiche di lavorazione;
f) Stoccaggio – vedi punto precedente riguardo ai contenitori utilizzati;
g) Imbottigliamento – abbiamo affermato che il pericolo di residui di vetro nel vino, dovuto alla cattiva conservazione delle bottiglie ed al loro uso nella fase di imbottigliamento, è probabile e la gravità del danno è medio-alta. E’ consigliabile attuare un’azione preventiva quale una corretta conservazione delle bottiglie. Inoltre riteniamo raccomandabile mettere in atto una misura di controllo basato su una procedura che organizzi un accurato controllo visivo delle bottiglie prima di immetterle nella linea di imbottigliamento, e l’allontanamento di quelle difettose come azione correttiva, adottando anche una registrazione delle anomalie rilevate che potrà fornire un’ottima base per la valutazione del fornitore delle bottiglie e della procedure di conservazione messa in atto in azienda. Inoltre sarebbe consigliabile ricorrere a fornitori che diano garanzia scritta della conformità del prodotto.
h) Pulizia e sanificazione degli impianti – se tale operazione non viene effettuata secondo adeguate procedure potrebbe avvenire l’inquinamento del vino da parte della soda caustica utilizzata per la pulizia (soprattutto dell’impianto di imbottigliamento) e non rimossa con sufficienti risciacqui. Il danno provocato sul consumatore può essere molto grave e la frequenza che si verifichi è bassa, quindi si raccomanda un’azione preventiva costituita da una procedura di risciacquo ben definita. La procedura scelta sarà verificata periodicamente con una valutazione dell’alcalinità delle acque di risciacquo (con una semplice cartina tornasole). L’operazione dovrà essere ovviamente proceduralizzata. Qualora insorga una non conformità che supera i limiti di pH prestabiliti, sarà necessario intervenire con un ulteriore risciacquo dell’impianto.

Manuale Aziendale di Autocontrollo dell’Igiene (M.A.A.I.)

Il M.A.A.I. è il documento dove viene descritto il Sistema di Autocontrollo messo in atto in azienda per prevenire l’insorgenza e tenere sotto controllo quei pericoli che, potrebbero manifestarsi in una fase produttiva, e provocare danni al consumatore del prodotto aziendale.
E’ quindi un documento prescrittivo e proprio dell’azienda che lo redige, riferendosi specificatamente al proprio processo/prodotto.
Deve essere approvato e sottoscritto dal suo vertice e dovrà essere tenuto a disposizione dell’autorità competente preposta al controllo.
Di seguito si indicano gli elementi che il Manuale Aziendale di Autocontrollo Igienico (M.A.A.I.) dovrebbe riportare:
1) gli obiettivi da realizzare, le attività, i ruoli e le responsabilità ben definite ed organizzare;
2) descrizione del processo produttivo e del prodotto finale con l’elencazione in allegato di tutte le materie prime, gli ingredienti, gli additivi e coadiuvanti tecnologici;
3) le procedure adottate per garantire il rispetto delle norme igieniche generali e le modalità di esecuzione delle stesse;
4) l’elenco dei pericoli che di vuole prevenire, i relativi sistemi di prevenzione documentati (CCP) ed i sistemi di monitoraggio e di verifica;
5) la documentazione relativa alla gestione dei CCP: un allegato in cui saranno annotati cronologicamente gli interventi di monitoraggio e verifica e delle eventuali non conformità accertate, nel rispetto delle procedure individuate nel Manuale;
6) la documentazione relativa alla gestione delle norme igieniche generali: eventuali allegati che l’azienda ritiene utile adottare a dimostrazione della messa in atto delle misure di igiene generali. Si ritiene comunque opportuna la compilazione di una scheda nella quale vengono registrate le verifiche periodiche circa l’efficacia del programma di pulizia.

DEFINIZIONI

Pericolo o “fattore di rischio”: fonte potenziale di contaminazione di natura biologica, fisica o chimica tale da ledere la salute del consumatore di un prodotto alimentare.
Rischio: probabilità che un pericolo di contaminazione si verifichi.
Gravità del danno: è la gravità della patologia che il fattore di rischio può causare sul consumatore.
Vi possono essere dei fattori di rischio che possono provocare danni gravi, temporanei e/o permanenti al consumatore, fino ad essere letali ed altri invece che nonostante tutto provocano solo danni passeggeri o poco evidenti.
Probabilità del danno: grado di probabilità che l’evento dannoso si verifichi nella realtà e dia luogo ad un danno.
E’ importantissimo individuare la probabilità che il fattore di rischio possa insorgere, infatti da ciò dipende la gravità del rischio.
Gravità del rischio: è data dal prodotto della gravità del danno (GD) per la probabilità (P) che l’evento di verifichi.
Quindi tale rapporto mette in evidenza quali siano i fattori di rischio da tenere sotto controllo o meno. Solo quei pericoli che nella realtà oggettiva si verificano con consuetudine o che pur non verificandosi spesso, possono comunque dare danni gravi al consumatore, saranno tenuti sotto controllo.
Diagramma di flusso o “flow sheet”: schema che descrive tutte le fasi del processo produttivo. In queste linee guida verrà utilizzato un formato standard secondo la norma UNI-ISO 9004-4.
Lay-out: strumento che permette la descrizione della logistica del processo (ubicazione e disposizione dei reparti e degli impianti/macchinari; circuiti di movimentazione delle cose e persone; condizioni ambientali dei locali).
Di norma è rappresentato da una planimetria dell’azienda sulla quale viene individuata la suddivisione dei vari reparti e viene riportata graficamente la dislocazione delle macchine/impianti ed i flussi di materiali e personale.
Punto a rischio: punto, fase o procedure in cui è possibile che si verifiche, aumenti o persista un pericolo relativo alla sicurezza e all’integrità di un prodotto alimentare.
L’individuazione di tali punti è fondamentale per poter capire dove intervenire nel processo produttivo con un sistema di prevenzione e controllo del pericolo che potrebbe manifestarsi.
Punto critico di controllo (CCP): una fase, una operazione, una procedura, una macchina od impianto, da cui dipende in maniera sostanziale la prevenzione dell’insorgenza di un pericolo.
La caratteristica fondamentale della metodologia HACCP è che il CCP deve essere documentabile e quindi controllabile, verificabile e se necessario sottoposto a modifiche per migliorarlo.
Conformità: soddisfacimento di requisiti specificati.
Non conformità: non soddisfacimento di requisiti specificati.
Azione preventiva: azione intrapresa per eliminare dei fattori di rischio potenziali che potrebbero provocare situazioni indesiderate, al fine di prevenirne il verificarsi.
Come verrà evidenziato più avanti, molti dei pericoli che potrebbero insorgere in un tipico processo di lavorazione del prodotto in esame, possono essere prevenuti semplicemente con l’applicazione di norme generali di corretta prassi igienica e buone pratiche di lavorazione, senza quindi dover attuare un vero e proprio sistema documentato di prevenzione (CCP).
Azione correttiva: azione intrapresa quando il monitoraggio ad un CCP indica che un limite critico non è rispettato.
Misure di controllo: tutti gli interventi e le attività volte a prevenire ciascun tipo di pericolo, ad eliminarlo o a ridurne l’impatto o la probabilità di insorgenza ad un livello accettabile.
Limite critico: valore che separa l’accettabilità dall’inaccettabilità.
Monitoraggio: sequenza pianificata di osservazioni o misure di un parametro di controllo per valutare se un CCP sia sotto controllo.
Verifica: l’utilizzo di metodi, procedure o prove oltre a quelle usate nel monitoraggio per determinare se il metodo HACCP sia congruente con il piano HACCP, e/o se il piano HACCP necessita di modifiche e rivalidazioni.
Manuale di corretta prassi igienica: questo documento può essere redatto da parte dei vari settori dell’industria alimentare con la collaborazione delle varie parti interessate (autorità competenti, associazioni di prodotto e dei consumatori).
E’ un documento che potrà essere di orientamento e consultivo per coloro che, appartenendo a quella stessa categoria produttiva, dovranno mettere in atto un sistema di autocontrollo aziendale. Ovviamente si mantiene a livello generico riferendosi ad un processo e prodotto “tipo”. Per avere valenza ufficiale deve essere validato dal Ministero della Sanità.

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