Prima di fornire alcune informazioni riguardo alla tossicità dei funghi e necessario ricordare che è la prevenzione che permette di evitare sorprese, rischi ed esiti spiacevoli, anche letali. Indispensabili sono quindi la conoscenza, l'attenzione e la consapevolezza dei propri limiti conoscitivi.
Non vi sono altri sistemi per evitare i rischi: non certo la sperimentazione perché, nel caso dei funghi tossici, essa può avere un senso solo se si basa su una conoscenza approfondita e consapevole e neppure gli accorgimenti tramandati da credenze popolari che sono, non solo inutili, ma molto pericolosi.
Il primo elemento è la conoscenza: non quella che si basa su abitudini di raccolta per aspetto complessivo, per zona, per periodo, magari ricalcando percorsi di prelievo tradizionale e neppure quella che mutua le sue certezze solo da una comparazione con le immagini di libri divulgativi o siti Internet (utili solo se usati per un approccio o per un aiuto determinativo) o, peggio ancora, dalla frequentazione occasionale di mostre micologiche.
Ma è necessaria la conoscenza che deriva dall’attenzione per il singolo carpoforo esaminato in tutte le caratteristiche che lo compongono e sottoposto ad analisi la più attenta possibile al fine di determinare con esattezza il genere e la specie, perché su questo processo determinativo si fondi il giudizio di commestibilità o di tossicità. Questo sta a significare che tale giudizio viene dopo, rispetto alla determinazione della specie e che il giudizio stesso dovrà essere rilevato da fonti bibliografiche autorevoli e aggiornate. Quindi la conoscenza deve essere la più puntigliosa e la più prudente possibile; è meglio esagerare la prudenza piuttosto che rischiare di incorrere in grossolani errori.
I principi tossici possono essere suddivisi in due grandi categorie:
- principi termolabili (eliminabili);
- principi termostabili (ineliminabili).
I primi sono veleni termolabili, cioè eliminabili col calore; si ottiene tale risultato quando la temperatura raggiunge i 70 °C circa. Siamo in presenza di principi tossici la cui intensità è molto variabile e quindi il grado di disturbo causato è anch’esso soggetto a variazioni notevoli; la pericolosità è però relativa essendo sufficiente una cottura completa (minimo 15 minuti) per scongiurare pericoli. Tra i funghi che sono portatori di tali principi ricordiamo: Amanita rubescens, le Amanita del gruppo vaginata (sottogenere Amanitopsis), Armillaria mellea, Clitocybe nebularis, Russula olivacea (e verosimilmente altre congeneri del medesimo gruppo), i Boletus del gruppo del luridus, le Morchella, le Helvella, le Peziza, etc.
Ben più pericolosi sono i principi tossici della seconda categoria; infatti qualsiasi intervento operiamo sul fungo non modifichiamo le sue caratteristiche di tossicità; non la bollitura, né l’essiccamento, né altri interventi. Anche in questo caso abbiamo varie gradazioni di tossicità che vanno da lievi dolenzie a gravi e gravissimi avvelenamenti che possono culminare con la morte. Certamente in molte sindromi la gravità è commisurata alla quantità ingerita, ma in molti casi i principi tossici sono così nocivi che bastano pochi grammi di fungo per produrre esiti disastrosi.
Ricordiamo inoltre che non tutti gli esseri viventi reagiscono alle sostanze velenose nello stesso modo; pertanto, ad esempio, una lumaca può cibarsi con dovizia (peso fungino in relazione al peso corporeo), senza incorrere in problemi di sorta, dei funghi che hanno esiti letali assunti dall’uomo anche in piccole dosi; in questo senso non può essere considerata, neppure lontanamente, prova di non tossicità l’essere un fungo oggetto di attenzione da parte di animali. Nello stesso modo non tutti gli uomini hanno le medesime reazioni, soprattutto in relazione alle condizioni complessive (sano/debilitato).
Ma tornando ai principi termostabili, ovvero ineliminabili anche con prolungata cottura: essi risiedendo nei funghi possono dare adito a due tipi di sindrome: a lunga o a breve incubazione
Al di là dell’intensità dell’avvelenamento è del tutto ovvio che le forme più pericolose sono quelle a lunga latenza perché l’insorgenza ritardata della sintomatologia fa sì che gli interventi curativi si possono praticare quando ormai i principi tossici sono saldamente instaurati e il materiale ingerito è in buona misura già assimilato; di converso, la precocità del sintomo rende possibile, da un lato gli interventi curativi tempestivi e dall’altro la rimozione indotta dell’ingerito non ancora del tutto assimilato. Da quanto detto emerge un concetto importante: la diagnosi precoce è, comunque, un mezzo decisivo per una cura il più possibile efficace. La capacità, da parte dell’intossicato, di descrivere appropriatamente il fungo colpevole dell’avvelenamento è un utile strumento per la cura, così come lo è il recupero di qualsiasi residuo fungino, sia esso crudo, cotto o emesso con vomito che, tempestivamente inviato a un micologo, consentirà di risalire alla/e specie in questione e permetterà di intraprendere l’iter curativo più idoneo.
I principi tossici possono essere suddivisi in due grandi categorie:
- principi termolabili (eliminabili);
- principi termostabili (ineliminabili).
I primi sono veleni termolabili, cioè eliminabili col calore; si ottiene tale risultato quando la temperatura raggiunge i 70 °C circa. Siamo in presenza di principi tossici la cui intensità è molto variabile e quindi il grado di disturbo causato è anch’esso soggetto a variazioni notevoli; la pericolosità è però relativa essendo sufficiente una cottura completa (minimo 15 minuti) per scongiurare pericoli. Tra i funghi che sono portatori di tali principi ricordiamo: Amanita rubescens, le Amanita del gruppo vaginata (sottogenere Amanitopsis), Armillaria mellea, Clitocybe nebularis, Russula olivacea (e verosimilmente altre congeneri del medesimo gruppo), i Boletus del gruppo del luridus, le Morchella, le Helvella, le Peziza, etc.
Ben più pericolosi sono i principi tossici della seconda categoria; infatti qualsiasi intervento operiamo sul fungo non modifichiamo le sue caratteristiche di tossicità; non la bollitura, né l’essiccamento, né altri interventi. Anche in questo caso abbiamo varie gradazioni di tossicità che vanno da lievi dolenzie a gravi e gravissimi avvelenamenti che possono culminare con la morte. Certamente in molte sindromi la gravità è commisurata alla quantità ingerita, ma in molti casi i principi tossici sono così nocivi che bastano pochi grammi di fungo per produrre esiti disastrosi.
Ricordiamo inoltre che non tutti gli esseri viventi reagiscono alle sostanze velenose nello stesso modo; pertanto, ad esempio, una lumaca può cibarsi con dovizia (peso fungino in relazione al peso corporeo), senza incorrere in problemi di sorta, dei funghi che hanno esiti letali assunti dall’uomo anche in piccole dosi; in questo senso non può essere considerata, neppure lontanamente, prova di non tossicità l’essere un fungo oggetto di attenzione da parte di animali. Nello stesso modo non tutti gli uomini hanno le medesime reazioni, soprattutto in relazione alle condizioni complessive (sano/debilitato).
Ma tornando ai principi termostabili, ovvero ineliminabili anche con prolungata cottura: essi risiedendo nei funghi possono dare adito a due tipi di sindrome: a lunga o a breve incubazione
Al di là dell’intensità dell’avvelenamento è del tutto ovvio che le forme più pericolose sono quelle a lunga latenza perché l’insorgenza ritardata della sintomatologia fa sì che gli interventi curativi si possono praticare quando ormai i principi tossici sono saldamente instaurati e il materiale ingerito è in buona misura già assimilato; di converso, la precocità del sintomo rende possibile, da un lato gli interventi curativi tempestivi e dall’altro la rimozione indotta dell’ingerito non ancora del tutto assimilato. Da quanto detto emerge un concetto importante: la diagnosi precoce è, comunque, un mezzo decisivo per una cura il più possibile efficace. La capacità, da parte dell’intossicato, di descrivere appropriatamente il fungo colpevole dell’avvelenamento è un utile strumento per la cura, così come lo è il recupero di qualsiasi residuo fungino, sia esso crudo, cotto o emesso con vomito che, tempestivamente inviato a un micologo, consentirà di risalire alla/e specie in questione e permetterà di intraprendere l’iter curativo più idoneo.
SINDROME FALLOIDEA
(è il caso più pericoloso e ad esso sono riferibili la maggior parte dei decessi)
Specie responsabili : Amanita phalloides, A. verna, A. virosa, Galerina marginata, Conocybe filaris, Lepiota helveola, L. josserandii e sicuramente numerose altre piccole Lepiota delle Sez. Ovisporeae e Lilaceae; sono inoltre fortemente sospette le specie affini a quelle citate.
Latenza: dalle 7 alle 24-30 ore (quando non ingerita in commistione con altre specie).
Principali sintomi: 1° fase, disturbi gastrointestinali (nausea, vomito alimentare poi biliare, diarrea coleriforme), disidratazione con conseguente ipotensione, sete intensa, dolori addominali; 2° fase, apparente miglioramento; 3° fase, insufficienza epatica acuta e comparsa di ittero, coagulopatia, talvolta grave disidratazione con insufficienza renale funzionale, sopore, coma e possibile decesso. In ogni caso, in conseguenza dell’insufficienza epatica acuta, il fegato potrà essere irreversibilmente compromesso, fino a necessitare di trapianto.
SINDROME ORELLANICA
Specie responsabili : Cortinarius orellanus, C. speciosissimus, loro varietà e specie affini. Sono inoltre sospetti, come già suggerì R. Tomasi, tutti i Cortinari dalle colorazioni rosse, rosso mattone, fulvastre, arancioni, giallo-verdastre (cfr. Sottogeneri Leprocybe e Dermocybe), anche se studi recenti parrebbero dimostrare l’assenza di orellanina.
Latenza: 4-48 ore, fino a 20 giorni, eccezionalmente anche di più.
Principali sintomi: 1° fase (quando presente), disturbi gastrointestinali (nausea, vomito alimentare, diarrea, dolori epigastrici), disidratazione con conseguente ipotensione, sete intensa, dolori addominali; 2° fase, silente da 3-4 a 20 giorni e più; 3° fase, insufficienza renale acuta caratterizzata da dolori lombari, sete, crampi muscolari, tremore, aumento e diminuzione della secrezione di urina, nausea, vomito biliare, iperazotemia, uremia, coma e possibile decesso. In ogni caso, in conseguenza dell’insufficienza renale acuta, può essere necessario il trattamento emodialico (spesso permanente) o trapianto del rene.
SINDROME GIROMITRICA
Specie responsabili : Gyromitra esculenta e altre congeneri. È sospetta Cudonia circinans.
Latenza: da 5-6 a 24 ore e più.
Principali sintomi: (quando presenti), disturbi gastrointestinali (nausea, vomito alimentare poi biliare, diarrea), cefalea, disidratazione, dispnea; successivamente interessamento epato-renale con lesioni al fegato e ai reni, comparsa di ittero e insufficienza epatica. Possono inoltre presentarsi emolisi, disturbi neuropsichici (irrequietezza, agitazione psicomotoria, delirio), disturbi visivi, arresto cardiaco e morte.
SINDROME PAXILLICA
Specie responsabili: Paxillus involutus e, verosimilmente, Paxillus rubicundulus (= Paxillus filamentosus).
Latenza: da 1 a 9 ore e più, talvolta soltanto a seguito di ingestioni successive ravvicinate.
Principali sintomi: (I ingestione, quando presenti), manifestazione gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea, dolori intestinali), (II ingestione e successive), crisi emolitica, sensibilizzazione anticorpale solo emopoietica, responsabile di una forma anafilattica e enterica, ittero, emoglobinuria, oliguria, grave anemia, collasso shock e possibile morte.
A Paxillus involutus veniva attribuita in passato una grave tossicità allo stato crudo, ma veniva accreditata una buona commestibilità da cotto.
Per chiudere la trattazione delle sindromi a lunga incubazione rammentiamo che gli interventi curativi che possono essere somministrati all’avvelenato, come primo momento di soccorso, consistono in aiuti alla reiezione del materiale fungino ingerito (specialmente se la sintomatologia si instaura in modo abbastanza precoce). Dovrà essere tassativamente esclusa l’ingestione di bevande alcoliche e di tutte le sostanze che hanno incidenza sul sistema nervoso. L’avvio a un Pronto Soccorso o, se possibile, a un centro specializzato è, comunque, l’unica scelta possibile.
SINDROME MUSCARINICA
Specie responsabili: Clitocybe "gruppo bianche" tra cui, C. cerussata, C. dealbata, C. rivulosa, e molte altre, numerose Inocybe, tra cui I. asterospora, I. praetervisa, I. geophylla, I. rimosa (= I. fastigiata), e altre ancora.
Latenza: da 15-30 minuti a 4 ore circa.
Principali sintomi: disturbi gastrointestinali (nausea, vomito alimentare, diarrea, dolori epigastrici), sudorazione profusa con ipersecrezione di liquidi da naso, bocca e bronchi, disidratazione, tremori, brividi, restringimento della pupilla e rallentamento del ritmo cardiaco (miosi e bradicardia), ipotensione e, talvolta, collasso cardio-circolatorio.
SINDROME PANTERINICA
Specie responsabili: Amanita pantherina e A. muscaria, loro varietà e forme; è sospetta A. junquillea (= A. gemmata).
Latenza: da 15-30 minuti a 4 ore circa.
Principali sintomi: disturbi neuropsichici (euforia, ebbrezza, collera, stato confusionale), dilatazione e restringimento della pupilla a fasi alterne, incoordinazione dei movimenti volontari, eccitazione o depressione del sistema nervoso centrale, possibili convulsioni, raramente morte.
SINDROME PSILOCIBINICA E PSICOTROPA
Specie responsabili: Pluteus salicinus, Inocybe aeruginascens, numerose specie dei generi Panaeolus e Psilocybe; sono sospette Gymnopilus spectabilis, Mycena pura, sue varietà e specie affini, alcune Stropharia, Conocybe e Cortinarius infractus.
Latenza: da 15 minuti a 2 ore circa.
Principali sintomi: disturbi gastrointestinali (non sempre manifesti) formicolio, delirio, allucinazioni visive e olfattive, depersonalizzazione, sensazione di sognare (stato onirico), depressione, talvolta agitazione psicomotoria e mania suicida.
SINDROME COPRINICA
Specie responsabili: Coprinus atramentarius e specie affini; sono sospette Clitocybe clavipes, Boletus luridus e Coprinus micaceus.
Latenza: da 2-6 a 48 ore e più, in concomitanza con l’assunzione di bevande alcoliche.
Principali sintomi: analoghi a quelli prodotti da antabuse: arrossamento della cute (eritema) prevalentemente di viso, collo e cuoio capelluto, tachicardia, ipotensione, vertigini, perdita delle forze, sudorazione e stordimento.
SINDROME GASTROENTERICA E LASSATIVA
Si tratta di intossicazioni di solito passeggere e a conclusione benigna, la cui gravità varia dai banali fatti lassativi a situazioni ben più virulente e gravi; responsabili sono una lunga serie di funghi dichiarati "tossici".
Specie responsabili: Entoloma sinuatum (= E. lividum), vernum, niphoides, rhodopolium, nidorosum; Tricholoma pardinum (= tigrinum), T. groanense, T. sulphureum; Omphalotus olearius; Macrolepiota venenata; Boletus satanas; Hypholoma fasciculare e H. sublateritium; Hebeloma sinapizans, H. crustuliniforme e altre congeneri; Agaricus romagnesii e gli Agaricus del gruppo xanthodermus; Russula e Lactarius acri; Ramaria pallida e R. formosa; tutti gli Scleroderma e i Choiromyces; Sarcosphaera crassa. Molte altre specie sono quanto meno sospette.
Intossicazioni analoghe si sono riscontrate anche in seguito al consumo di specie normalmente dichiarate "commestibili": in particolare, Clitocybe nebularis, Armillaria mellea s.l., Macrolepiota del gruppo rhacodes, Leucoagaricus leucothites (= Lepiota naucina) e persino i Boletus del gruppo dell’edulis. Mentre per le prime è ormai accertata almeno una tossicità di tipo termolabile, per L. leucothites pare si possa asserire che il fungo, abitudinario di parchi e giardini anche urbani, sia veicolo di una tossicità indotta e assorbita da terreni inquinati.
Latenza: talvolta già alla fine del pasto, di norma entro 6-8 ore, ma per A. mellea s.l. e C. nebularis, la latenza può raggiungere le 10-12 ore.
Principali sintomi: data la quantità di specie responsabili, la sintomatologia può variare notevolmente: da semplice dissenteria a coinvolgimento di tutto l’apparato gastrointestinale con nausea, vomito, cefalea, vertigini, sudorazione, dolori epigastrici, etc. Per quanto concerne le intossicazioni da A. mellea s.l. e da C. nebularis la sintomatologia prevede prevalentemente: vomito, diarrea, dolori e crampi addominali a volte con frequenza e intensità tali da simulare una sindrome falloidea che impone un trattamento aggressivo in attesa e/o in mancanza di riconoscimento micologico.
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