Prof. Generoso Patrone
Parte I – LA FORESTA DI VALLOMBROSA
Descrizione generale dell’ambiente
Il rilievo topografico
Il rilievo dendrometrico
Statistica silografica
Calcolo del volume
Cenni storici sull’evoluzione della Foresta di Vallombrosa per effetto dell’applicazione dei piani di assestamento dal 1876 al 1969
Notizie storiche
Le utilizzazioni legnose nell’ultimo decennio
Assestamento dell’Abetina (parziale)
I caratteri della vegetazione – Cenni selvicolturali
Trattamento, turno, ripresa e piano dei tagli dell’abetina a rinnovazione artificiale
Trattamento, ripresa e piano dei tagli dell’abetina a rinnovazione naturale
Assestamento delle Fustaie di faggio e dei Boschi di protezione (omissis)
Brevi cenni descrittivi
Coltivazione, ripresa e piano dei tagli della faggeta a tagli successivi
Coltivazione, ripresa e piano dei tagli dei boschi protettivi
Assestamento dei Boschi da trasformare in fustaie miste di conifere e latifoglie (omissis)
Cenni descrittivi
Il trattamento futuro
La ripresa e il piano delle colture
Assestamento dei Cedui di castagno (omissis)
Introduzione
Cedui a taglio raso
Cedui da avviare all’alto fusto
Assestamento delle fustaie di specie esotiche sperimentali (omissis)
Le funzioni sociali della foresta
Conclusioni
Parte II – IL COMPRENSORIO DI S. ANTONIO (omissis)
PARTE III – ALLEGATI (parziale)
Prospetto delle superfici
Descrizioni particellari e registro di tassazione dell’abetina pura a rinnovazione artificiale
Descrizioni particellari e registro di tassazione dell’abetina mista a rinnovazione naturale
……..
Descrizioni particellari e registro di tassazione dei boschi da trasformare in fustaie miste di conifere e latifoglie
……..
Descrizioni particellari e registro di tassazione delle fustaie di specie esotiche sperimentali
……..
Piano dei tagli definitivi dell’abetina mista a rinnovazione naturale (omissis)
Piano dei tagli intercalari dell’abetina mista a rinnovazione naturale (omissis)
……...
Elenco e superficie delle particelle catastali situate in Comune di Reggello intestate all’A.S.F.D.(parziale)
La foresta demaniale di Vallombrosa è ubicata sulle pendici del Pratomagno, massiccio montuoso facente parte del comune di Reggello, in provincia di Firenze.
Questo importante complesso boscato ricopre tutto il versante tra i 530 e 1350 metri ed ha la forma di un irregolare pentagono.
Dal punto di vista geologico predomina la formazione dell'Oligocene: rocce sedimentarie, quali grossi banchi di arenaria di diversa struttura e tessitura. Da simili rocce derivano terreni diversi in genere poveri di calcare e acidi.
Altri tipi di suolo ( bruni acidi o podsolici) sono quelli che si originano da arenarie grossolane, con prevalente tessitura sabbiosa, mentre da banchi di arenaria meno alterabile e più compatta derivano suoli ricchi di scheletro e poveri di humus. Nonostante l'accentuata acclività dei versanti, il fenomeno delle frane e dell'erosione è limitato e si avverte solo in poche pendici sfavorevolmente esposte e insufficientemente ricoperte dal manto forestale.
Si può dire che a Vallombrosa non esistano veri e propri corsi d'acqua, ma un numero elevato di fossi ( Fonte dell'Abate, Fosso De Bruceti, Fonte Eleonora, Bifolco, ecc.) che hanno una scarsa importanza idrografica, con forti pendenze, breve lunghezza e caratteri fortemente torrentizi, con magre che possono portare fino al completo prosciugamento durante l'estate. Quasi tutti questi fossi finiscono nel torrente Vicano di Vallombrosa, il più importante degli affluenti del Vicano di S. Ellero. Nella foresta abbondano piccole sorgenti e fonti che forniscono freschissime acque perenni. L'idrografia della foresta comprendeva anche un laghetto artificiale, a valle della confluenza di due fossi tributari. Di questo lago, ormai scomparso, è rimasto solo un ricordo nella toponomastica della foresta ( Località Il Lago). Un altro piccolo invaso artificiale, tuttora in esercizio è il lago del Bifolco. Nell'abitato di Vallombrosa esiste anche un osservatorio Termo-Udometrico, situato a 955 metri di quota in esposizione Ovest.
Il clima è caratterizzato da un regime notoriamente mediterraneo e da forti oscillazioni piovose; la piovosità media annua è di 1390 mm, ma non mancano tuttavia annate in cui la piovosità scende notevolmente al di sotto del valore medio.
Durante la stagione invernale sono frequenti anche precipitazioni nevose: ciò nonostante, per azione mitigante dei venti occidentali, la neve non persiste a lungo. Si tratta di un clima piuttosto umido ma non eccessivamente rigido. Gelate precoci possono verificarsi a partire dal mese di ottobre, quelle tardive nel mese di maggio. Nelle zone esposte a Nord e ad altitudini comprese tra 800 e 900 metri si verificano delle brinate. La temperatura media annua è di circa 10,5°C, i minimi estremi possono scendere fino a -10° / -15° C, mentre la temperatura massima può arrivare fino a i 30° / 35° C.
I venti spirano da Nord, Nord-Est, Sud e Sud-Ovest, recando a volte qualche danno anche rilevante alle Abetine.
In sintesi, secondo la classificazione del Pavari, la foresta di Vallombrosa rientra grosso modo nella zona fitoclimatica del Castanetum per tutta l'area al di sotto dei 1000 m e nella zona del Fagetum al di sopra di tale altitudine. Ma a cavallo dei 1000 m di quota possiamo individuare una fascia di 200-300 m di transizione fra le due zone.
La carta silografica in scala 1:10.00 allegata al presente piano si estende su due fogli: il primo interessa il comprensorio di Vallombrosa – Metato, il secondo il comprensorio di S. Antonio.
La mappa forestale in scala 1:2.000, costruita nel 1959 integrando con rilievi diretti le nuove mappe catastali, opportunamente aggiornata è servita per ottenere la nuova carta silografica mediante riduzione fotozincografica. Nel comprensorio Vallombrosa – Metato il nuovo particellare si discosta pochissimo dal precedente.
Per rendere più semplice la visione topografica della zona, sono state riportate anche le curve di livello, con equidistanza di 25 metri, riprendendole dalle tavolette 1:25.000 dell’I.G.M.
Il piano attuale prevede la divisione in due comprensori secondo il prospetto seguente:
Tabella 1
Comprensorio |
Superficie catastale |
Fossi e strade |
Nuovi accertamenti |
Totale |
Vallombrosa |
1268,2025 |
2,1490 |
2,6419 |
1272,9934 |
S. Antonio |
984,4194 |
8,6555 |
|
993,0749 |
Totali |
2252,6219 |
10,8045 |
2,6419 |
2266,0683 |
La superficie catastale totale di ettari 2252,6219 corrisponde alla superficie del 1959 aumentata dei nuovi acquisti avvenuti nell’ultimo decennio e diminuita delle superfici cedute.
I fossi e le strade (ettari 10,8045) sono tutti quelli che il catasto considera improduttivo ma che, essendo inclusi entro i confini dei due comprensori, si possono considerare facenti parte della proprietà dell’A.S.F.D.
La superficie aggiunta di ettari 2,6419 è dovuta a nuovi accertamenti.
La predetta superficie totale di ettari 2266,0683 non comprende la superficie occupata dalle strade rotabili (Pian di Melosa-Grillo, Vallombrosa-Catena, Vallombrosa-Croce Vecchia) e che ascende complessivamente a circa ettari 6,20.
I risultati del rilievo topografico (vedere allegato 1) sono sintetizzati nella seguente tabella che contiene l’indicazione precisa dei singoli tipi di bosco.
Tabella 2
Ripartizione della superficie secondo le classi economiche previste dal piano 1970–1984 (ettari)
|
Abetina |
Faggeta coetanea |
Boschi di protezione |
Boschi da trasformare in fustaie miste di conifere e latifoglie |
Ceduo di castagno |
Parcelle sperimentali |
Vivai, arboreto, fabbricati, ecc. |
Totale |
|
|
Pura a rinnovaz. artificiale |
Mista a rinnovaz. naturale |
|
||||||
Produttiva |
445,02 |
109,20 |
86,93 |
133,16 |
348,86 |
58,22 |
25,15 |
21,39 |
1227,93 |
Improduttiva |
15,89 |
4,07 |
2,48 |
2,51 |
7,75 |
1,06 |
0,36 |
10,94 |
45,06 |
Totale |
460,91 |
113,27 |
89,41 |
135,67 |
356,61 |
59,28 |
25,51 |
32,33 |
1272,99 |
Statistica silografica
La statistica del soprassuolo è stata curata in ogni particolare ed ha avuto per fine la ricerca dei più importanti fattori che direttamente concorrono a definire il trattamento di ogni singola unità colturale e dell’insieme delle particelle che compongono le diverse comprese. Ma ha avuto anche lo scopo di suddividere e descrivere i vari elementi che definiscono la produzione legnosa nei suoi aspetti qualitativo e quantitativo.
Per le particelle di alto fusto sono stati rilevati:
l’età, sia dal registro di tassazione del precedente piano sia dall’analisi di alberi atterrati;
i diametri, mediante il cavallettamento totale per classi diametriche dell’ampiezza di 5 cm, limitatamente alle particelle di età superiore a 50 anni;
la classe di feracità delle abetine, dal confronto dell’altezza dominante con quella data dalla tavola alsometrica costruta da CANTIANI e BERNETTI per le abetine Toscane.
Per ogni particella si sono descritti i caratteri del soprassuolo (specie, origine, mescolanza, densità, danni parassitari, ecc.) nonché le caratteristiche essenziali della morfologia della stazione.
Calcolo del volume
Il volume delle particelle di alto fusto è stato calcolato col metodo delle tavole dendrometriche e cormometriche ad una sola entrata, in modo da rendere comparabili con un errore minimo i risultati di inventari successivi.
In particolare la massa della classe economica dell’abetina per le particelle di età superiore a 50 anni è stata ottenuta applicando la tavola cormometrica ad una sola entrata (Tabella 3) elaborata nel 1949 in occasione di quella revisione decennale del piano di assestamento.
Tabella 3
Tavola cormometrica locale ad una entrata dell’abete bianco di Vallombrosa (Clauser)
Diametro a 1,30 (cm) |
Altezza (m) |
Volume cormometrico (mc) |
10 |
13,1 |
0,07 |
15 |
16,4 |
0,19 |
20 |
19,4 |
0,36 |
25 |
22,1 |
0,59 |
30 |
24,5 |
0,89 |
35 |
26,7 |
1,25 |
40 |
28,6 |
1,68 |
45 |
30,2 |
2,17 |
50 |
31,5 |
2,73 |
55 |
32,4 |
3,35 |
60 |
32,9 |
4,04 |
65 |
33,5 |
4,79 |
70 |
33,8 |
5,61 |
75 |
34,0 |
6,49 |
80 |
34,1 |
7,44 |
85 |
34,1 |
8,45 |
90 |
34,2 |
9,53 |
95 |
34,2 |
10,67 |
Per il complesso delle particelle di età inferiore a 50 anni la massa è stata ottenuta applicando la tavola alsometrica di CANTIANI e BERNETTI.
Il volume delle particelle di faggio è stato calcolato applicando la tavola dendrometrica ad una entrata costruita da CANTIANI nel 1959 proprio a Vallombrosa sulla base di 1863 alberi modello rilevati su tutta la superficie della classe economica della faggeta (Tabella 4).
Tabella 4
Tavola dendrometrica locale ad una entrata del faggio di Vallombrosa (Cantiani)
Diametro a 1,30 (cm) |
Altezza (m) |
Volume dendrometrico (mc) |
10 |
12,4 |
0,09 |
15 |
15,3 |
0,20 |
20 |
17,4 |
0,36 |
25 |
18,9 |
0,58 |
30 |
20,1 |
0,89 |
35 |
21,1 |
1,26 |
40 |
21,9 |
1,71 |
45 |
22,5 |
2,23 |
50 |
23,0 |
2,82 |
55 |
23,4 |
3,49 |
60 |
23,7 |
4,25 |
65 |
23,9 |
5,09 |
70 |
24,1 |
6,02 |
Con questa tavola sono stati anche determinati i volumi delle altre latifoglie associate al faggio e all’abetina.
La massa delle particelle di pino è stata determinata applicando la tavola ad una sola entrata costruita nel 1969 da HELLRIGL proprio per questa classe economica sulla base di 236 osservazioni. (Tabella 5).
Tabella 5
Tavola cormometrica (fusto compreso il cimale) locale per le fustaie coetanee giovani di pino nero e laricio di Vallombrosa (Hellrigl)
Diametro a 1,30 (cm) |
Altezza (m) |
Volume cormometrico (mc) |
10 |
9,9 |
0,045 |
15 |
14,2 |
0,128 |
20 |
17,2 |
0,263 |
25 |
19,3 |
0,452 |
30 |
20,8 |
0,693 |
35 |
21,9 |
0,988 |
40 |
22,7 |
1,336 |
45 |
23,4 |
1,738 |
50 |
23,9 |
2,192 |
55 |
24,4 |
2,700 |
60 |
24,7 |
3,261 |
I volumi delle particelle di pseudotsuga infine sono stati calcolati con la tavola cormometrica ad una sola entrata costruita da BERNETTI per la douglasia dell’Appennino Toscano (Tabella 6).
Tabella 6
Tavola cormometrica a una sola entrata per la douglasia verde in Toscana (Bernetti)
Diametro a 1,30 (cm) |
Altezza (m) |
Volume cormometrico (mc) |
10 |
12,3 |
0,05 |
15 |
16,9 |
0,14 |
20 |
20,7 |
0,28 |
25 |
23,7 |
0,49 |
30 |
25,8 |
0,77 |
35 |
27,3 |
1,13 |
40 |
28,6 |
1,58 |
45 |
29,7 |
2,11 |
50 |
30,7 |
2,74 |
55 |
31,3 |
3,20 |
60 |
32,1 |
3,90 |
Notizie storiche
Per tradizione la foresta demaniale di Vallombrosa è rimasta da oltre un secolo un centro di attività didattica ed un punto di incontro fra scienza, sperimentazione e la tecnica forestale.
L'applicazione dei piani di assestamento che si sono succeduti dal 1876 fino ad oggi, ha modellato la formazione forestale preesistente introducendo colture artificiali di conifere su grandi superfici.
Da documenti storici si rileva che i monti Taborra e Pratomagno erano popolati da una foresta di faggio e cerro quando gli ultimi gruppi di abete bianco avevano ceduto all'azione antropica e alla concorrenza delle latifoglie.
Nel 1350 l'abetina fu nuovamente introdotta con coltura artificiale dai Monaci Vallombrosani, sotto la guida dell'abate Michele Flammini, ma fu l'abate Don Luigi Fornaini , con le sue opere (1804), a dare inizio alla creazione di quella che oggi è una delle più rinomate abetine dell'Appennino Toscano.
Nel luglio del 1866 la foresta di Vallombrosa e l'Abbazia passarono al demanio dello Stato, il quale continuò l'opera di diffusione dell'abete, riducendo verso l'alto l'area della faggeta e verso valle quella del castagno e del querceto.
Dopo 30 anni, 1896, e varie opere di assestamento e revisioni costanti, la superficie occupata dall'abetina era aumentata di circa 75 ha, arrivando ad un totale di 292,34 ha.
Questi piani di assestamento si basavano essenzialmente su:
Taglio a raso con rinnovazione artificiale posticipata
Metodo planimetrico-particellare (assestamento per superficie)
Turno della massima produzione legnosa di 80 anni
La terza revisione avrebbe dovuto essere eseguita nel 1906, ma ebbe luogo a causa della sopravvenuta legge sulle stazioni climatiche del 29 dicembre 1901, n. 535, che, per motivi estetici e di difesa del paesaggio, impedì l'applicazione del piano di assestamento basato sul trattamento dei tagli a raso e prescrisse utilizzazioni esclusivamente a scelta e limitatamente alle piante fisicamente mature.
Nel 1923 fu studiato, dal Prof. Giuseppe Di Tella, il quarto piano economico, che interessava tutta la foresta (abetina, faggeta ad alto fusto, ceduo di castagno, ceduo di faggio e pineta).
Questo piano a differenza degli altri impostava anche il problema della conversione della faggeta situata a monte di Vallombrosa in bosco misto di abete bianco e faggio.
Nel 1935 ebbe luogo un quinto piano, il quale differiva dai precedenti perché l'assestamento si volle conseguire non più con il metodo planimetrico-particellare, ma secondo quello della divisione in serie, che implica la ripartizione del bosco in serie regolari e la suddivisione di queste in prese, conservando comunque il trattamento a taglio raso con rinnovazione artificiale posticipata.
La irregolare distribuzione delle classi cronologiche, a seguito dei tagli eseguiti durante e dopo la guerra 1914-18 e le esigenze estetiche della stazione climatica, indussero a prescrivere il metodo della divisione in serie che è appropriato all'abete e, allo stesso tempo, tiene conto, in giusta misura delle esigenze di natura estetica della stazione climatica.
La suddetta divisione in serie tendeva ad assicurare alcuni vantaggi, tra cui:
la maggiore sicurezza della rinnovazione delle singole tagliate;
la semplicità di applicazione dell'assestamento e l'indipendenza dei tagli;
la certezza della normalizzazione delle classi cronologiche in un turno.
Ma l'esperienza di tale innovazione ha dimostrato che si tratta di lievi vantaggi non dipesi dal metodo di assestamento, quanto dalla condotta dei tagli, costatando bensì un incremento di spese collegate alla divisione in serie.
In occasione dello studio del sesto piano economico, 1949, si tornò al metodo planimetrico-particellare, conservando il turno della massima produzione uguale a 100 anni.
I dati statistici che si sono succeduti dal 1914 al 1969 dimostrano che l'abetina da 217,40 ha del 1876 si è più che triplicata, raggiungendo nel 1959 ha 680,01, che si è ridotta nel 1969 ad 664,45 ha.
L'abete, lentamente ha occupato gran parte dell'area della faggeta, ma è anche disceso a sostituire il castagneto abbassandosi fino a 675 m di quota s.l.m.
Contemporaneamente si è verificata l'introduzione della pineta , con funzioni miglioratrici, specialmente nei terreni più poveri, nelle quote meno elevate, e la graduale trasformazione della vecchia selva castanile in cedui a lungo turno. Va poi evidenziata l'introduzione di specie esotiche a scopo sperimentale (pseudotsuga Douglasii, Chamaecyparis Lawsoniana, Thuya Gigantea, Abies Nordmanniana, Pinus Murrayana, Picea Engelmanni, Cupressus Arizonica). Il piano di assestamento del 1960 ha posto l'accento sull'opportunità di non estendere l'abetina nell'area dei castagneti e querceti misti al di sotto di 900 m e di sospendere l'introduzione dell'abete nelle vicinanze dei crinali e in quote elevate, zone dove il faggio risponde meglio alle avverse condizioni ambientali, svolgendo un'azione protettiva.
Ha inoltre previsto l'inserimento del faggio nell'abetina, anche se in piccola parte, ed ha sperimentalmente previsto, nella zona compresa nel Metato-Lago, la creazione di un nucleo di fustaie miste a rinnovazione naturale. Anche in questo piano è presente il metodo planimetrico-particellare e sia per abetina che faggeta è stato adottato il turno di 100 anni. Inoltre per i cedui misti di latifoglie è stato preventivato la conversione in alto fusto e per le pinete la crescente trasformazione in fustaie miste di latifoglie pregiate e conifere a rapido accrescimento.
Allo stato attuale la situazione delle colture, quale risulta dalla tabella 7, pone in evidenza che le diverse formazioni forestali non hanno subìto sensibili variazioni di superficie nell'ultimo decennio.
Tabella 7
Situazione delle colture forestali dal 1876 al 1969
|
1876 |
1886 |
1896 |
1914 |
1923 |
1935 |
1949 |
1959 |
1969 |
Abetina |
217,4 |
229,31 |
292,34 |
356,06 |
476,8 |
474,08 |
496,65 |
680,01 |
664,45 |
Parcelle sperimentali di conifere esotiche |
|
|
|
3,78 |
5,59 |
19,37 |
21,11 |
30,17 |
25,15 |
Faggeta |
|
|
|
445,13 |
394,97 |
385,05 |
373,86 |
188,68 |
185,83 |
Pineta |
|
|
|
32,96 |
|
75,94 |
107,48 |
144,2 |
139,34 |
Castagneto da frutto |
|
|
|
120,86 |
|
28,14 |
12,46 |
|
|
Ceduo misto di latifoglie |
|
|
|
116,74 |
285,04 |
65,09 |
74,84 |
104,9 |
93,46 |
Ceduo di castagno |
|
|
|
143,09 |
|
130,05 |
122,14 |
68,33 |
58,22 |
Douglasia e altre essenze esotiche in coltura forestale |
|
|
|
|
|
|
|
|
40,09 |
Prati, orti, fabbricati e strade rotabili |
|
|
|
59,51 |
54,27 |
46,18 |
46,09 |
76,39 |
66,45 |
Superficie Totale |
|
|
|
1278,13 |
1216,67 |
1223,9 |
1254,63 |
1292,68 |
1272,99 |
- Comprende anche Ha 13,44 di pineta e latifoglie miste associate all'abete.
- Le variazioni di superficie risultanti dai confronti dei dati del 1949 e 1959 sono dovute a nuovi acquisti ed accertamenti.
Non comprende la superficie delle strade rotabili di Pian di Melosa-Grillo, Vallombrosa-Catena e Vallombrosa-Croce Vecchia pari a circa ettari 6,20.
Le utilizzazioni legnose nell'ultimo decennio
Il piano dei tagli testé scaduto prevedeva per il decennio 1960-69 un complesso di utilizzazioni così ripartite per classi economiche:
tagli intercalari |
mc. 12.818 mc. 14.243 |
tagli intercalari |
mc. 6.960 mc. 3.645 |
|
mc. 5.800 |
|
mc. 3.710 |
tagli intercalari |
mc. 2.320 mc. 735 |
|
mc. 3.050 |
|
mc. 2.610 |
TOTALE |
mc. 55.891 |
Dal consuntivo registrato nel libro economico emerge che a tutto il dicembre 1969 sono state effettuate le utilizzazioni indicate nella tabella sottostante (Tab. 8).
Tabella 8
Consuntivo generale delle utilizzazioni effettuate nel decennio 1960-1969 distinte per classi economiche e tipi di taglio
Classe economica |
TIPI DI TAGLI |
Totale |
Paleria varia |
|||
Ordinari |
Colturali |
Straordinari |
Accidentali |
|||
mc |
n |
|||||
Abetina pura a rinnovazione artificiale |
4.636 |
6.361 |
2.682 |
10.838 |
24.517 |
14.081 |
Abetina mista a rinnovazione naturale |
3.034 |
1.512 |
90 |
3.243 |
7.879 |
2.057 |
Fustaia di faggio coetanea a tagli successivi |
5.222 |
1.038 |
153 |
161 |
6.574 |
|
Fustaia di faggio disetanea a tagli saltuari |
2.003 |
1.555 |
408 |
162 |
4.128 |
|
Pinete artificiali |
1.667 |
1.566 |
8 |
331 |
3.572 |
3.759 |
Cedui misti di latifoglie |
998 |
1.216 |
|
73 |
2.287 |
10.262 |
Fustaia di specie esotiche |
|
597 |
146 |
357 |
1.100 |
1.631 |
Cedui di castagno |
382 |
199 |
|
31 |
612 |
17.581 |
Totale |
17.942 |
14.044 |
3.487 |
15.196 |
50.669 |
49.371 |
I caratteri della vegetazione – Cenni selvicolturali
L’abetina occupa attualmente un’estensione di ha 664,45 (nota 1), corrispondenti al 52% di tutta la superficie della foresta. Questa formazione, che ha esteso la sua area dalla quota 675, ove ha la sua sede naturale il querceto misto submontano, fino ad un’altitudine di m. 1300 sostituendosi alla faggeta fin sulle linee dei crinali, assume diversi caratteri a seconda della stazione e del periodo del primo impianto.
Il primo nucleo – quello di Vallombrosa – di ha 182,59 è formato dall’abetina più antica ove la coltura si ripete ininterrottamente da più di tre cicli secolari. Questo comprensorio che circonda la storica Abbazia e si estende fino all’abitato di Saltino fra le quote 850 e 1200, in precedenza era quasi certamente popolato da una fustaia di faggio e, in una stretta fascia del limite inferiore, da querceti e castagneti da frutto. Qui l’abete conserva immutato l’antico vigore vegetativo e forma in purezza maestosi popolamenti chiusi, molto rinomati non solo per la loro alta produttività, ma anche per l’austera solennità che imprimono al paesaggio in armonia con il carattere sacro di luoghi e monumenti storici, tanto da diventare un centro di attrazione turistico. Trattasi di formazioni coetanee pure sottoposte al trattamento dei tagli a raso con rinnovazione artificiale posticipata. Il piano di assestamento redatto nel 1960, pur riconoscendo la opportunità di non rinunciare a un tipo colturale che ormai è legato ad una esperienza plurisecolare ed a fattori di carattere economico e sociali, non ha ignorato gli inconvenienti a cui la monocoltura dà luogo, né i sani indirizzi di selvicoltura naturalistica favorevoli ai boschi misti e contrari ai tagli a raso. È noto che l’abete bianco a Vallombrosa, in una zona climatica al limite di quella naturale, non si rinnova naturalmente in bosco puro e che pertanto è necessario ricorrere al taglio a raso e alla rinnovazione artificiale se si vuol tenere l’abetina coetanea e realizzare prodotti pregiati, soprattutto per qualità (fusti lunghi, diritti e cilindrici), ancora richiesti dal mercato. Ma l’impianto artificiale incide fortemente col suo costo sul reddito dell’azienda anche perché il rimboschimento, pure eseguito secondo dettami della tecnica, si presenta – come un’operazione che diventa difficile e costosa quando la coltura viene ripetuta più volte sulla stessa particella. Notevoli sono pertanto le spese da sostenere per i risarcimenti, ma molto sensibili sono anche i costi delle cure colturali da affrontare nei primi anni per pulire ripetutamente le posticce da quella caratteristica associazione spontanea invadente di ginestre, sambuchi, epilobi, rovi, lamponi ed altre piante suffrutticose ed erbacee che soffocherebbero, se lasciate indisturbate, l’abete. Oltre a questi motivi di carattere economico altri due importanti argomenti potrebbero deporre a sfavore delle abetine artificiali: il progressivo regresso di fertilità che si nota dopo qualche generazione nei terreni coltivati ad abete e gli attacchi parassitari fungini che hanno più volte destato allarme e seri dubbi sulla buona possibilità di conservazione dell'abetina. Per quanto riguarda il regresso di fertilità, se è lecito commisurare la fertilità al grado di produttività della stazione, si può subito affermare che la ripetizione di coltura non ha in modo apprezzabile ridotto la capacità produttiva delle particelle ove da più secoli si sta coltivando artificialmente l’abete senza alcuna interruzione o avvicendamento. Queste abetine che come si è detto sono tutte localizzate in prossimità dell’Abbazia di Vallombrosa, si mantengono sempre rigogliosissime e gli incrementi molto elevati. Più grave sembra invece il pericolo delle infezioni parassitarie a cui sono soggette le abetine artificiali. Il Fomes annosus e l’Armillaria mellea hanno invero gravemente falcidiato notevoli estensioni di abetine, non solo in queste antiche fustaie, ma soprattutto nelle formazioni di più recente impianto del metato e del Soglio, costringendo l’Amministrazione ad utilizzare nell’ultimo decennio, fuori dalle previsioni del piano, ben mc. 14.081 (nota 2) di legname. I danni da marciume radicale in questa foresta sono quindi di entità veramente sensibile. Studi eseguiti dall’Istituto di Patologia Vegetale dell’Università di Firenze hanno individuato la causa predisponente degli attacchi in uno stato di debilitazione degli ospiti dovuto soprattutto a crisi di aridità. Il piano del 1960 prevedeva per questa abetina la conservazione del taglio a raso e della rinnovazione artificiale. Prescriveva inoltre di consociare all’abete la picea con piccole percentuali (5%), avendo questa specie dimostrato ottime capacità produttive e qualità tecnologiche migliori dell’abete.
Il secondo complesso, di ha 262,43, ubicato nella località Soglio e nelle pendici dei fossi del Bifolco e di Fonte all’Abate oltreché nelle alte quote del versante in destra del fosso dei Bruciati, comprende le abetine di formazione più recente il cui impianto risale a non più di un secolo. Fatta eccezione di un piccolo nucleo che nella località Soglio ha occupato l’area di un castagneto da frutto, tutta la rimanente superficie dell’abetina ha sostituito fustaie di faggio secondo le prescrizioni dei piani di assestamento del 1923, 1935 e 1949. La trasformazione avrebbe dovuto attuarsi sottoponendo in un primo tempo la faggeta ad un taglio di sementazione e quindi al taglio di sgombro dopo aver ottenuto l’insediamento di una sufficiente quantità di novellame. Contemporaneamente avrebbe dovuto essere effettuata la piantagione dell’abete a gruppi e, nelle stazioni più fertili la creazione di ampie aree pure per ottenere elevate produzioni di legname di conifere. Scopo della trasformazione era quello di creare un bosco misto di abete e faggio, in cui il faggio avrebbe dovuto rappresentare il 10-15% del volume dell’intero soprassuolo stato osservato che in un bosco così costituito il faggio esercita una multiforme azione protettrice a favorire della conifera e, per l’elevato potere fertilizzante della sua lettiera, crea condizioni particolari propizie alla rinnovazione dell’abete che non si riproduce in bosco puro. Fino al 1960 la conversione aveva interessato complessivamente ha 210,67 di faggeta ma non era stata realizzata dappertutto secondo le prescrizioni dei piani. In gran parte della superficie il faggio rea stato completamente soppresso e sostituito dall’abetina pura mentre era rimasto associato all’abete solo su un’area di ha 80 circa con percentuali oscillanti fra il 2 e il 20% della massa totale delle singole particelle. Si noti poi che la piantagione dell’abete era stata effettuata solo raramente a gruppi ma quasi sempre uniformemente su tutta la superficie e che molto spesso all’atto dell’impianto il novellame di faggio rea stato “ripulito” con una ceduazione a raso in modo che ora si è riprodotto dal ceppo e ha dato luogo a piante che accusano evidenti difetti di forma e d’incremento. Inoltre le posticce e le giovani perticaie di abete avevano una densità generalmente serrata e tendevano ad annientare per concorrenza laterale il faggio che in genere formava gruppi piccolissimi quando non era addirittura presente a soggetti isolati. Il piano redatto nel 1960 stabiliva, particella per particella, le modalità per ottenere, ove possibile, la formazione di un’efficiente mescolanza in cui il faggio fosse partecipe almeno in ragione del 15% del volume. A ciò si sarebbe dovuto pervenire sia con la pratica dei rinfoltimenti delle posticce pure a densità rada, sia con i diradamenti per liberare dall’adduggiamento laterale i migliori soggetti isolati di faggio compressi nella dense perticaie. In verità non si può dire che nel decorso decennio queste norme siano state prese in considerazione. In molte perticaie il diradamento ha colpito quasi tutti gli esemplari sporadici di faggio, facendolo quasi sparire dalla consociazione; mentre in nessuna posticcia sono stati artificialmente introdotti i gruppi di faggio neppure là dove ciò si sarebbe potuto realizzare agevolmente nella fase dei risarcimenti.
Il terzo comprensorio con caratteristiche ben differenti da quelle delle fustaie precedentemente descritte, è quello delle abetine localizzate al di sotto della quota 850-900, originate sia artificialmente sia per insediamento spontaneo nell’ombra dei castagneti da frutto e sotto la densa copertura dei fitti cedui che ricoprivano tutta la fascia inferiore della foresta. Lo stato vegetativo di queste fustaie, che occupano in complesso una superficie di ha 82,35, è invero molto mediocre: i fusti sono bassi, tozzi, ramosi e coronati, con palchi molto ravvicinati; gli incrementi, apparentemente soddisfacenti nei primi anni, si riducono a ben poca cosa dopo i 30-40 anni allorché si esaurisce anche lo sviluppo della freccia terminale. La penetrazione spontanea dell’abete nel castagneto è stata concordemente attribuita da autorevoli studiosi al fatto che questa conifera trova condizioni molto favorevoli alle sue esigenze termiche sotto la copertura del castagneto, sicché il seme trasportato dal vento vi germina in modo veramente straordinario. Lo stato di sofferenza che poi si nota ad età più avanzata quando l’abetina comincia a prevalere sul castagno, è stato ricercato nelle diverse condizioni climatiche e soprattutto nella deficienza di umidità. Ma sembra che sullo stato di deperimento di queste giovani abetine possano aver influito anche alterazioni pedologiche dovute alla precedente coltivazione del castagneto da frutto e l’aduggiamento e la concorrenza radicale esercitata dalle dense “paline” le cui ceppaie continuano a rimanere vitali, anche quando sono sottoposte all’abetina, per periodi superiori al secolo. Il piano del 1960 prevedeva di trasformare gradualmente queste abetine in fustaie miste di conifere a rapido accrescimento da associare ad ampi gruppi di latifoglie pregiate. Avendo l’abetina di questo comprensorio carattere transitorio viene esclusa dalla classe economica delle fustaie d’abete che si estendono tutte a quote superiori agli 850 m., e viene invece aggregata alla compresa delle fustaie miste di conifere e latifoglie insieme ad altre formazioni situate al limite inferiore della foresta (pinete di laricio, cedui di castagno, querceti misti) di cui si dirà più diffusamente in un successivo capitolo.
Il quarto comprensorio denominato Metato-Lago occupa una superficie di ha 109,20. Trattasi di un’abetina il cui impianto risale a non più di un secolo, ove solo in poche particelle ha avuto inizio da qualche anno la ripetizione del secondo ciclo. Nel Metato-Lago l’abete ha sostituito castagneti da frutto frammisti a coltura agraria, e l’abetina di questo territorio non è perfettamente pura perché spesso si associa, anche su ampi tratti, all’abete rosso, al pino laricio, al pino silvestre, al castagno, al faggio e ad altre minori latifoglie. Le capacità produttive, grazie alle particolari condizioni di fertilità e di umidità del terreno, sono ancora maggiori di quelle di Vallombrosa. Ma nonostante il rigoglio vegetativo l’abete bianco viene gravemente danneggiato da attacchi parassitari fungini che hanno ridotto enormemente la provvigione tanto da costringere l’Amministrazione ad effettuare intensi tagli in deroga alle prescrizioni del piano. In tutte le particelle ove lo stato di purezza dell’abetina è interrotto dalla presenza di altre specie, ed in particolare là dove è presente l’abete rosso, si osserva una abbondante e promettente rinnovazione naturale di abete bianco e subordinatamente di picea, che si è insediata specialmente in quest’ultimo ventennio, nelle aree più rade e va sempre più diffondendosi man mano che i vuoti vanno allargandosi in seguito alla continua accidentale caduta di piante affette da marciume. Questo fenomeno sta a dimostrare che la consociazione abete bianco-abete rosso con piccole percentuali di latifoglie (faggio, castagno e acero) nella zona del Metato-Lago potrebbe benissimo costituire un bosco più stabile e vitale che, continuando ad essere altamente produttivo, potrebbe fruire del vantaggio della rinnovazione spontanea, irrealizzabile nell’abetina pura. Per tali motivi il piano del 1960 ha separato questo nucleo dalle altre abetine ed ha prescritto la graduale formazione di una fustaia mista ove all’abete bianco sia associato il 20% di abete rosso e il 10% di latifoglie (acero, faggio e castagno). Nelle esposizioni più soleggiate era stata prevista anche l’introduzione del pino laricio e del pino silvestre, in proporzioni non superiori al 30%. Per creare questo tipo colturale con gradualità il piano del 1960 prevedeva:
tagli di rinnovazione a piccoli gruppi per ampliare i nuclei di novellame già esistenti nei popolamenti e resi lacunosi dalla caduta di piante affette da marciume radicale.
rinfoltimento per integrare la rinnovazione di abete bianco, con piantagione di picea a piccoli gruppi, castagno nelle quote meno elevate, faggio ed acero montano al si sopra dei 1000 metri, pino silvestre e laricio solo sui pochi versanti esposti ad ovest e qualche gruppo di douglasia nelle stazioni più adatte.
Tagli a raso anticipati nelle particelle più adulte gravemente danneggiate e compromesse dal marciume radicale e rimboschimento secondo i criteri sopra indicati.
C’è purtroppo da osservare che nella fase esecutiva solo una parte delle predette prescrizioni è stata osservata. L’Amministrazione si è invero preoccupata di effettuare i tagli di rinnovazione e di sgombro, ma invece di frazionare gli interventi su piccole aree,, ha creato popolamenti di novelletti molto più estesi del previsto sì da rendere poi difficoltosa la creazione di una struttura disetanea a piccoli gruppi. Non è stata poi presa in alcuna considerazione la norma di conservare gran parte delle latifoglie esistenti allo stato di alto fusto e di inserire il faggio, l’acero ed altre latifoglie pregiate nei novelletti di abete bianco al fine di creare quella consociazione che è capace di garantire a maturità la rinnovazione naturale. ciò nonostante, considerando che al Metato-Lago la rinnovazione dell’abete bianco continua a manifestarsi subito dopo l’alleggerimento della copertura, in modo veramente soddisfacente, formando nuclei densi e quanto mai rigogliosi, il nuovo piano continua a tenere disgiunto questo comprensorio dalla classe economica delle abetine coetanee a rinnovazione artificiale. E ciò anche perché ritiene meritevole la prosecuzione d’un esperimento, unico nel nostro Appennino, che ha grande interesse selvicolturale ed economico.
Trattamento, turno, ripresa e piano dei tagli dell’abetina a rinnovazione artificiale (parziale)
Fanno parte di questa classe economica i due comprensori descritti ai paragrafi a) e b) del precedente capitolo e che nel complesso ricoprono una superficie di ha 445,02. La struttura e lo stato di purezza dei soprassuoli qui esistenti non consentono di derogare dal trattamento tradizionale che è quello dei tagli a raso con rinnovazione artificiale. Per creare le condizioni necessarie alla rinnovazione naturale, ma soprattutto per ottenere boschi più sani ed equilibrati con l’ambiente, si insiste in questo piano sulla prescrizione di conservare, ove esistono, le latifoglie e di associare all’abete, nella fase dell’impianto artificiale, il faggio a piccoli gruppi da distribuire uniformemente sulla superficie in modo da occupare un’area di insidenza del 20% circa. Solo sulle abetine che fanno da cornice all’Abbazia ed in quelle confinanti con la rotabile Vallombrosa-S. Caterina-Saltino, il faggio potrà essere ridotto al 10% per dar posto all’abete rosso sa associare anch’esso con percentuali pari al 10%. Si fa osservare che la picea esistente a Vallombrosa in molte particelle di abete ha dimostrato notevoli pregi fra cui vanno soprattutto annoverati la rapidità di accrescimento e le buone qualità tecnologiche del legname che consente di realizzare prezzi di macchiatico molto più elevati dell’abete bianco. L’impianto artificiale delle abetine è stato tradizionalmente effettuato con sesti variabili da m. 1,50 x 1,50 a m. 1,80 x 1,80, i quali creano densità di 4400-3000 piante per ettaro. Distanze d’impianto maggiori sono state usate solo eccezionalmente. La fittezza dei popolamenti, in cui le piante entrano in concorrenza già all’età di 15 anni circa, rende necessari precoci tagli di sfollamento delle posticce, operazione questa che si è dimostrata sempre onerosa, anche se in minima parte è compensata dalla produzione di alberi di Natale molto ricercati sul mercato di Firenze. Vige poi a Vallombrosa la consuetudine di mantenere le abetine dense non solo durante i primi stati giovanili, ma anche nelle età più avanzata (dai 30 ai 50 anni). I diradamenti vengono praticati con eccessiva prudenza e tendono a colpire solo le piante aduggiate che presentano già evidenti i segni di una imminente morte per selezione naturale. ecco perché i soprassuoli sono generalmente formati da piante esili, filate e povere di chioma e si dimostrano poco resistenti agli agenti atmosferici invernali (venti e nevi) che arrecano frequentemente danni ingenti alle giovani fustaie. Si fa altresì osservare che nelle abetine allevate a densità colma i diradamenti tardivi non arrecano, se non con molto ritardo, vantaggi incrementali che invece sarebbero immediati operando con intensità in soprassuoli giovani le cui piante fossero fornite di ampia chioma verde. Tutti i piani precedenti hanno insistito sull’utilità economica e colturale di effettuare con frequenza e tempestività i tagli intercalari, ma in verità, anche nell’ultimo decennio l’Amministrazione non è riuscita a portare a termine i diradamenti prescritti: lo dimostra il fatto che su una previsione di taglio di mc. 14.000 sono stati prelevati solo mc. 6.360 di massa intercalare. Ciò è da attribuire alla scarsa disponibilità di mano d’opera, ma soprattutto alle difficoltà di collocare sul mercato i prodotti che trovano possibilità di vendita solo a piccoli lotti. Per ovviare a tali inconvenienti si prescrive in modo categorico di ridurre la densità iniziale dei popolamenti a 1500 piante per ettaro effettuando le piantagioni con un sesto non inferiore a m. 2,50 x 2,50. Si evitano in questo modo i tagli di sfollamento fino all’età di circa 30 anni e, successivamente, si riuscirà a mantenere normale la copertura con diradamenti moderati da cui si potranno ricavare prodotti di elevato valore di macchiatico grazie alle maggiori dimensioni delle piante. È ovvio che questo sistema riduce sensibilmente le spese di piantagione, di risarcimento e di ripulitura. I vantaggi del sistema consigliato sono posti in evidenza da studi sperimentali stranieri e da abetine della Toscana con soprassuoli radi fin dall’impianto.
È noto che la scelta del ciclo di produzione in una foresta demaniale deve prescindere dal tornaconto inteso in senso stretto, ma deve invece uniformarsi ai criteri più ampi che regolano l’economia pubblica. Queste considerazioni inducono ad escludere l’adozione di un turno finanziario che qui oscilla intorno ai 60 anni ed a prescrivere invece turni di 90 anni per la prima classe di fertilità e di 110 per la terza, imposti dalle esigenze pubblicistiche della foresta.
Trattamento, turno, ripresa e piano dei tagli dell’abetina mista a rinnovazione naturale (parziale)
Le fustaie di questa compresa detta del Metato-Lago, che occupano una superficie di ha 109,20 sono state descritte nel paragrafo d) del precedente capitolo. Resta tuttora valido il programma prescritto nel piano del 1960 che prevedeva la formazione graduale di una fustaia mista, avente una struttura disetanea a gruppi, costituita dal 70% di abete bianco da associare all’abete rosso (20%) e a latifoglie pregiate: acero, faggio, castagno e tiglio (10%).
Per creare questo tipo colturale si prevede:
tagli di rinnovazione per ampliare i nuclei di rinnovazione già esistenti nelle particelle miste ove il novellame è già in fase di insediamento;
rinfoltimento per integrare la rinnovazione dell’abete bianco con piantagione di abete rosso a piccoli gruppi, castagno e tiglio nelle quote meno elevate, faggio e acero montano al di sopra dei 1000 metri, pino silvestre e laricio solo sui pochi versanti soleggiati esposti a ovest;
tagli a raso anticipati nelle particelle adulte gravemente danneggiate e compromesse dal marciume radicale, e rimboschimento secondo i criteri sopra indicati.
L’entità dei tagli sia definitivi che intercalari è fissata con criteri strettamente colturali in base alle esigenze delle singole particelle.
I caratteri della funzione ricreativa
Vallombrosa è stata una delle più antiche e rinomate stazioni di villeggiatura del nostro Appennino.
Nel 1901 venne classificata "stazione climatica" con la legge n° 535 del 29 Dicembre che imponeva a scapito delle finalità economiche, la difesa del paesaggio e la tutela dell'aspetto estetico.
Per far ciò, senza compromettere la possibilità di sviluppo della villeggiatura estiva fu adottato un saggio provvedimento che vietava la concessione edilizia all'interno della foresta, permettendo altresì la creazione, a soli due chilometri dall'Abbazia di Vallombrosa, di un villaggio alberghiero in località Saltino.
Il centro di soggiorno ebbe un repentino sviluppo, anche grazie alla ferrovia a cremagliera (costruita nel 1892 per iniziativa del Conte Telfener) che lo metteva in comunicazione con la stazione di S. Ellero, sulla linea che collegava Firenze ad Arezzo.
Molte personalità di alto livello sociale che primeggiavano nel mondo della politica, della cultura (il famoso poeta inglese Milton venne qui a trovare ispirazione per il “Paradiso perduto”) e dell'arte (il noto critico d’arte Berenson aveva trasformato la sua villa “Casa al dono” in un cenacolo ove si incontravano illustri uomini di cultura e d’arte provenienti da ogni parte del mondo) consideravano Vallombrosa la località ideale per ritrovare la tranquillità.
La seconda guerra mondiale ha segnato la fine di questo fiorente periodo. Gli alberghi del Saltino, costretti a funzionare solo durante il periodo estivo, sono divenuti antiquati e la totale assenza di attività sportive legate al periodo invernale fece sì che molte persone decisero di cercare altre località di villeggiatura.
In sostituzione di ciò si sviluppò il turismo di massa; durante il periodo estivo, specialmente nei fine settimana molte persone si spostano dalle città e paesi limitrofi alla ricerca di un riparo dalle afose giornate. Si può dire che Vallombrosa in questi due ultimi decenni sia diventata il parco pubblico dei fiorentini.
La foresta si è dimostrata impreparata a sostenere questo esodo. Il turista della domenica che si reca a Vallombrosa utilizza la macchina, che cerca di tenere il più vicino possibile. La carenza di luoghi riservati al parcheggio costrinse l'amministrazione a trasformare una parte del "prato" vicino all'Abbazia in parcheggio. Ne consegue che durante i giorni estivi, in una fascia di poche decine di ettari tra Vallombrosa e Saltino, si può osservare un addensamento di auto a cui si affianca una folla di gitanti costretti a subire, in una foresta tanto estesa, la stessa angustia che si verifica nei parchi urbani delle nostre grandi città (l’80% circa delle macchine e dei gitanti è stipato nella località di Vallombrosa e di S. Caterina e cioè proprio là dove il carattere sacro dei luoghi dovrebbe richiamare il visitatore al silenzio, alla tranquillità e alla meditazione).
I provvedimenti per normalizzare il turismo di massa
Per far fronte all'esodo domenicale è stato ideato un piano di intervento tenendo conto che la foresta di Vallombrosa è sottoposta al vincolo paesaggistico ai sensi della legge 1497 del 29 giugno 1939.
Per risolvere questo oneroso problema si richiede il decongestionamento delle adiacenze di Vallombrosa dal sovraccarico dei gitanti. Sono stati proposti tre ordini di provvedimenti:
I) Creazione di tredici parchi pubblici ben distanti fra loro ed ubicati in aree comode, pianeggianti e prossime alle strade. Vicino a queste aree si prevede la creazione di parcheggi schermati e protetti dalla vegetazione.
La disponibilità di acqua permetterà la sistemazione di servizi igienici e saranno fornite anche panchine e tavoli per i pic-nic. Un custode fisso dovrebbe essere addetto alla vigilanza per la buona conservazione dei parchi. Da queste aree, attraverso piccoli sentieri, i gitanti dovrebbero essere avviati su itinerari suggestivi e educativi per scoprire il fascino delle bellezze naturali.
La superficie che dovrebbero occupare i parchi è di circa 35,61 ha, e pertanto dovranno gradualmente essere chiusi i posteggi delle auto nelle abetine di S. Caterina sulla strada fra Saltino e Vallombrosa.
II) Alleggerire il traffico automobilistico, intenso e pericoloso, sulla strada del Lago che collega il bivio della Consuma con Vallombrosa, promuovendo la costruzione della strada panoramica che dal Passo della Consuma, percorrendo i margini superiori della foresta, lungo il crinale della “Croce di Ribono”, si inserisca nel bivio di Croce vecchia. Questa arteria faciliterebbe l’afflusso dei turisti verso le alte faggete di “Capanna Grimaldi” e agli itinerari del Monte Secchieta e del Pratomagno. Sempre per deviare il transito dalle vicinanze dell’Abbazia si prevede la costruzione di un altro piccolo tronco stradale, di km 0,8, quasi pianeggiante, che attraverso la località denominata “Il Grillo” consenta di immettere direttamente al Saltino il traffico automobilistico della provinciale proveniente da Tosi.
III) Il piano prevede di conservare il campeggio turistico dello “Scoiattolo”, il “bosco-parco” nella pineta di Pian di Melosa, il villaggio prefabbricato "Madonnina del Grappa" e la colonia estiva del Metato. Ma categoricamente esclude di ampliare i confini di questi insediamenti e di realizzarne di nuovi (come ristoranti, trattorie, spacci, ecc.) per non creare altri problemi di carattere igienico e ricettivo.
Non si prevede di realizzare seggiovie, funivie ed altri impianti di risalita che creerebbero squarci nell'abetina, lesionando l'aspetto estetico.
Neppure è ammissibile l'apertura di altre piste di sci oltre agli impianti già esistenti a Capanna Grimaldi, sia per le condizioni climatiche sfavorevoli alla neve e che per l'inevitabile creazione di altre strutture edilizie.
La funzione culturale
Vallombrosa è stato un centro di diffusione dell'istituzione forestale, furono infatti i vallombrosani a divulgare le prime norme sulla buona cultura dei boschi appenninici, specialmente l'abete bianco, come attestato dagli scritti dell'abate Fornaini.
Nel 1869 fu fondata la Scuola forestale nell'Abbazia di Vallombrosa dove rimase fino al 1912, allorché, trasformata in Istituto Superiore Forestale, si trasferì a Firenze. Dodici anni dopo venne trasformato in Istituto Agrario Forestale e successivamente nel 1936 in facoltà di Agraria dell’Università di Firenze.
L'Amministrazione di Vallombrosa mette a disposizione degli studenti di Firenze l'albergo del Paradisino, appositamente attrezzato.
Per conservare a Vallombrosa il privilegio di questa funzione didattica è necessario che siano conservati tutti i tipi di bosco e di trattamenti selvicolturali, indipendentemente dalle considerazioni economiche.
Esistono anche numerose particelle sperimentali di conifere esotiche, come la Douglasia.
È noto che i frequentatori di Vallombrosa e specialmente i fiorentini sono istintivamente attratti dalle suggestive bellezze della natura e del paesaggio. Pertanto una intelligente opera educativa a mezzo di opuscoli, giornali, manifesti e cinema troverebbe il massimo favore e sarebbe coronata da successi certamente più lusinghieri di quanto possa ottenersi con una rigorosa azione di polizia.
Anche gli agenti di custodia che hanno frequenti contatti con i gitanti dovrebbero essere preparati a svolgere questa missione di propaganda educativa; ma tale compito dovrebbe soprattutto essere affidato alla cooperazione spontanea di altre organizzazioni che sentono l’esigenza di interventi operativi nell’interesse della conservazione della natura.
Il programma che è stato dettagliatamente esposto nei precedenti capitoli è la naturale prosecuzione dei piani di assestamento che si sono succeduti dal 1923 in poi.
Tuttavia va rilevato che questo progetto tende a plasmare la foresta nei prossimi 15 anni insistendo più decisamente su alcuni indirizzi che qui di seguito si sintetizzano.
Innanzitutto l’area dell’abetina si restringe alle stazioni più favorevoli, tutte comprese in un areale che in basso non scende al di sotto degli 850 metri ed in alto non si spinge mai fino ai crinali e che, comunque, non supera l’altitudine di m. 1300. Ragioni selvicolturali ed insieme estetiche inducono a consigliare l’introduzione graduale nell’abetina di gruppi di latifoglie che assicurano la formazione di fustaie più stabili, capaci di rinnovarsi spontaneamente, con vantaggi anche di carattere economico. Ecco perché è stato raccomandato un particolare trattamento selvicolturale in un gruppo di particelle del Metato.Lago ove l’abete bianco si riproduce naturalmente grazie ad una associazione, sia pure modesta, di altre specie (castagno, acero, faggio e abete rosso).
L’attuale superficie delle faggete, che occupano in prevalenza i terreni più scadenti, va mantenuta non solo per le spiccate funzioni protettive del faggio ma anche per finalità estetiche, didattiche ed educative.
In tutta l’ampia fascia di foresta posta al di sotto della quota di 850 metri, ove sono localizzate le fustaie degradate di abete bianco, le pinete di laricio impiantate in sostituzione dei castagneti da frutto ed i cedui misti già in conversione ad alto fusto, questo piano prevede una graduale formazione di soprassuoli misti di douglasia e latifoglie pregiate. Però in questo comprensorio il castagno va completamente sostituito. Un gruppo di particelle viene riservato allo stato ceduo per fornire la paleria minuta necessaria ai lavori interni dell’Azienda; mentre un’altra piccola area di ceduo invecchiato sarà convertita ad alto fusto con finalità sperimentali.
Un particolare capitolo è dedicato da questo piano alle funzioni sociali della foresta che nel decorso decennio si sono sempre più accentuate. Sono stati perciò prescritti particolari provvedimenti per normalizzare il turismo di massa che ora grava disordinatamente nella foresta, tenendo conto del vincolo paesistico esistente e delle funzioni di carattere culturale ed educativo che Vallombrosa svolge ormai da più di un secolo.
Il piano dei tagli, suddiviso per classi economiche, prevede nel complesso una ripresa totale di mc. 43.860 a cui corrisponde una ripresa media annua quasi costante di mc. 2.900. Nel piano non figurano le masse legnose ricavabili dai tagli intercalari che interessano una superficie totale di ha 1136. Questi interventi sono quanto mai indispensabili per una razionale coltura della foresta e non dovrebbero essere mai trascurati dall’Amministrazione. Ma poiché si riconosce che specialmente nei giovani popolamenti i tagli di diradamento sono spesso onerosi, il piano ha previsto di ridurre le densità iniziali, aumentando i sesti d’impianto, anche per contenere i costi della rinnovazione artificiale.
È stata altresì esclusa dal piano l’indicazione della ripresa relativa alle parcelle sperimentali di specie esotiche perché qui le utilizzazioni vanno eseguite secondo le direttive dell’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo.
Per quanto poi riguarda le utilizzazioni straordinarie che dovessero verificarsi per cause accidentali o parassitarie, si precisa che questi tagli vanno compensati con una corrispondente riduzione nel prelievo dei tagli definitivi (tagli a raso o tagli di rinnovazione) ma senza apportare alcuna detrazione ai tagli intercalari, che come si è più volte ripetuto, hanno grande importanza ai fini colturali e non possono essere trascurati senza compromettere la buona conservazione e i redditi della foresta.
I miglioramenti colturali sono previsti nella voce “descrizione degli interventi” dettagliatamente indicati in ciascun piano dei tagli. Si è evitato così di compilare un apposito piano delle coltivazioni.
Per rendere possibile in occasione della prossima revisione del piano lo studio di un preciso bilancio consuntivo ed il controllo in quella sede dell’esattezza delle previsioni e il rilievo di eventuali manchevolezze ed imprecisioni, è necessario che nel “libro economico” vengano registrati, particella per particella, tutti i tagli con l’indicazione degli assortimenti prodotti e dei redditi realizzati. Contemporaneamente vanno annotati tutti i miglioramenti colturali che si effettueranno anche fuori delle prescrizioni del piano, con l’indicazione delle spese sostenute.
1 - Vi sono comprese le abetine dei boschi di protezione (ha 27,88).
2 - In questa cifra è incluso anche il volume delle piante danneggiate da agenti meteorici e da altre malattie.
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