Funzioni dei boschi
Selvicoltura

Premessa

Il termine di selvicoltura, inteso nel suo significato più ampio, indica l’insieme delle discipline riguardanti il bosco che studiano e determinano le modalità per assicurare agli individui e alla collettività tutti i vantaggi di cui esso è capace.
Oltre alla selvicoltura in senso stretto, che ha come compito la razionale gestione della foresta e del suo impianto, il termine comprende infatti: l’economia forestale, che definisce i vantaggi d’interesse particolare o generale offerti dal bosco e ne stabilisce, per mezzo dell’assestamento, la maniera di realizzarli nei modi più convenienti e duraturi; e la tecnologia che si occupa dell’utilizzazione e della trasformazione dei prodotti forestali, costituiti principalmente dal legno.
Sin dall’antichità erano stati riconosciuti alla foresta utilità di diversa natura, riconducibili essenzialmente a tre funzioni:
- la funzione produttiva (legname da opera, da industria, legna da ardere e da carbone; resine; frutti; funghi, foglie, ecc.);
- la funzione protettiva e tutelare del suolo e delle installazioni o più generalmente degli interessi creati dall’uomo, attraverso l’azione regimante delle acque, la difesa dall’erosione, dalle frane, dalle valanghe, dal vento ecc.;
- la funzione turistico-ricreativa e di salvaguardia dell’ambiente naturale, esplicata dal bosco in forme e con gradi diversi di intensità secondo i suoi caratteri, la sua estensione e distribuzione.
È compito proprio della selvicoltura di trarre dal bosco, nella massima misura possibile, tutti questi servigi di diversa natura, il cui rendimento è sempre e comunque legato al grado di efficienza del popolamento. Condizione imprescindibile al successo di questa attività è perciò la conservazione dell’equilibrio tra il bosco e l’ambiente ecologico che lo ospita.

Funzione produttiva

Questa funzione ha mantenuto lungo i secoli più o meno intatta la propria importanza grazie alla duttilità nell’uso del legno, mutato più volte attraverso il tempo; la sostituzione del legno con altre materie prime (in epoca recente, per esempio, delle abetelle per costruzione con i tubi metallici; della legna e del carbone con gas liquidi, ecc.) non ne ha diminuito il valore, sia perché la stessa materia prima ha trovato nuovi sbocchi (per esempio per l’estrazione della cellulosa), sia perché, in seguito all’assottigliamento della consistenza di quello rimasto, la disponibilità globale del legno è venuta via via riducendosi. L’aspetto produttivo è di particolare importanza per l’Italia, essendo il nostro Paese uno tra i maggiori importatori di legname e di pasta di cellulosa dall’estero, necessari sia per il consumo interno che per la produzione di prodotti lavorati (mobili, carta) destinati all’esportazione.
Nelle utilizzazioni boschive è importante dare al legname la più conveniente destinazione. La formazione perciò dei vari assortimenti legnosi richiede capacità, accortezza e lunga pratica. È soprattutto da evitare che legname da costruzione, da lavoro, ecc. venga destinato ad uso combustibile e che le operazioni di allestimento siano condotte in modo da determinare eccessive perdite.
A seconda dell’impiego, il legno si distingue in tre categorie e cioè: combustibile, da opera in genere e da industria.
Combustibile
Nella categoria del combustibile sono compresi la legna da ardere vera e propria allestita in tondelli, squarti, ciocchi, e fascine ed il carbone vegetale ottenuto per la trasformazione del legno nelle comuni carbonaie, nei forni fissi e mobili, in fosse, ecc. Può essere impiegato tanto per riscaldamento che per produzione di energia in genere ed anche per scopi industriali. L’impiego dei combustibili vegetali per riscaldamento è quello di più larga applicazione. Notevole diffusione ha anche l’uso della legna e del carbone come carburanti solidi nei gassogeni in sostituzione della benzina e della nafta. In passato, la siderurgia e la metallurgia facevano largo uso di carbone vegetale.
Legname da opera
Il legname con destinazione diversa da quella di combustibile può essere allestito in tre modi e, cioè, allo stato tondo con o senza corteccia, squadrato con l’ascia a spigolo vivo o smussato e segato. Si distingue in legname da costruzione, legname da lavoro e legname per usi industriali.
Legname da costruzione – Comprende tutti gli assortimenti che vengono messi in opera allo stato tondo, squadrato e segato nelle costruzioni edilizie, stradali, ferroviarie, idrauliche, navali, minerarie, in agricoltura.
Legname da lavoro – Chiamato generalmente anche da opera, è costituito da quegli assortimenti grezzi o semilavorati che, anziché essere posti in opera nello stato in cui furono allestiti, vengono sottoposti ad ulteriore lavorazione da parte del mobiliere, del carradore, del tornitore, dell’intagliatore, del bottaio, del falegname, del cestaio, dell’artigiano in genere. Per corrispondere alle necessità dell’impiego, il legname viene sottoposto a segagione per ricavarne tavoloni, tavole, tavolette, assicelle, scurette, listelli, scandole, ecc. Per la preparazione di un determinato prodotto finito si richiede l’impiego di speciali assortimenti e di legname di specie appropriate avente, di solito, un elevato grado di stagionatura. Alcuni legnami come, ad esempio, quello di faggio, possono essere messi in opera dopo aver subito un processo di vaporizzazione più o meno prolungato, inteso a migliorarne le caratteristiche fisico-meccaniche e l’aspetto, nonché a renderlo più durevole. A differenza di quanto avviene per il legname da costruzione, quello da lavoro viene tratto, non soltanto dal fusto ed eventualmente dai grossi rami (traverse ferroviarie), ma altresì dai polloni, dal ceppo e anche dalle radici. È noto, infatti, che molte specie (noce, acero, ecc.) forniscono legname di ceppaia assai ricercato dal mobiliere per le marezzature di cui è dotato. Così le pipe di radica vengono fabbricate con il cosiddetto ciocco di scopa, il quale è appunto la parte ingrossata mammellonate della radici dell’Erica arborea.
Legname da industria
Comprende tutti i legnami che, nel processo applicativo, cedono alcune delle sostanze in essi contenute oppure subiscono una trasformazione fisico-chimica più o meno profonda come quelli impiegati dalle industrie concianti, tintorie, medicinali, della pasta meccanica, della cellulosa, della saccarificazione, della distillazione, della potassa, ecc.

Funzione protettiva

I boschi esplicano anche la funzione protettiva e tutelare del suolo e delle installazioni o più generalmente degli interessi creati dall’uomo, attraverso l’azione regimante delle acque, la difesa dall’erosione, dalle frane, dalle valanghe, dal vento ecc.
Questa funzione è nota fin dai tempi antichi, ma solo modernamente, da quando si è cominciato a considerare la foresta come un sistema unitario formato inscindibilmente da suolo e vegetazione, i complessi effetti idrologici, di cui essa è capace più di qualunque altro popolamento arbustivo ed erbaceo, hanno potuto essere meglio intesi e definiti. Secondo le vedute più moderne, gli alberi non sono in realtà che una parte, per quanto essenziale, di tale sistema integrato, alla costruzione del quale partecipano migliaia di organismi animali e vegetali.
Di fronte ad eventi idrometeorici eccezionali, ai quali ci riferiamo specificamente adesso, la biocenosi forestale reagisce per taluni aspetti in modo particolare, per altri invece si comporta come durante le piogge ordinarie. La principale differenza si verifica nell’intercettazione della pioggia per mezzo degli apparati fogliari degli alberi e del sottobosco. Mentre con piogge con altezza comprese fra 1 e 20 mm l’intercettazione è di norma molto elevata, in caso di precipitazioni intense o di altezza superiore a 20-30 mm, gli apparati fogliari non trattengono più di 5 – 15% dell’acqua caduta, secondo i propri caratteri e anzitutto secondo la densità e la stratificazione del popolamento. Ma se le piogge si prolungano e crescono ancora in altezza, le chiome, raggiunta la saturazione, lasciano passare quasi tutta l’acqua che successivamente affluisce. Sotto questo aspetto il potere dispersivo del bosco è più limitato di quanto generalmente si creda; lo stesso si può dire delle perdite per evapotraspirazione che, rilevanti se riferite ai cicli stagionali o annuali, assumono invece un’incidenza praticamente trascurabile nel bilancio degli eventi eccezionali, sempre di breve o brevissima durata.
Gli apparati fogliari acquistano per contro grande importanza nella riduzione della forza viva delle gocce di acqua, eccezionalmente elevata durante le piogge intense. Nel contenere questa energia, con gli alberi concorrono il sottobosco e la copertura morta. Lungo le pendici ben rivestite di bosco, gli ostacoli frapposti dalla vegetazione abbassano inoltre la velocità del deflusso superficiale a ¼ di quella che si avrebbe sullo stesso pendio denudato. Poiché l’erosione varia col quadrato della velocità del deflusso, in un buon popolamento forestale stratificato l’energia erosiva discende teoricamente ad 1/16 di quella che, a parità di pioggia, può svilupparsi nei terreni nudi.
Queste considerazioni possono in parte spiegare perché nei boschi efficienti l’erosione superficiale sia scarsa o nulla e perché, all’inverso, raggiunga valori più o meno forti non soltanto nei terreni agrari mal sistemati o lasciati incustoditi, ma anche nei boschi eccessivamente diradati.
Benché l’azione idrologica epigea del bosco sia per più aspetti di indubbio rilievo, nel caso di piogge torrenziali gli effetti che il sistema forestale svolge nella sfera ipogea, dove sono preminenti le proprietà e la profondità del suolo, appaiono, su un piano diverso, di portata forse superiore.
Per i boschi dei nostri climi in discrete condizioni si può ritenere a titolo indicativo:
- che la velocità d’infiltrazione dell’acqua sia di norma elevata o elevatissima, d’un ordine di grandezza, a deflusso costante, non inferiore a 3-5 mm/min., tale da impedire lo scorrimento superficiale anche con piogge di oltre 100 mm all’ora;
- che la capacità di ritenzione idrica (mesopori) equivalga ad un’altezza di 60-80 mm di pioggia;
- che il potere di detenzione idrica (macropori) corrisponda ad un’altezza di 200-400 mm di pioggia.
Sommando l’acqua intercettata dagli apparati fogliari con quella di ritenzione, un bosco provvisto di caratteri appena discreti appare quindi verosimilmente capace di sottrarre al deflusso un’altezza d’acqua pari a circa 70 mm e di trattenerne temporaneamente nei macropori una quantità da 4 a 5 volte maggiore.
L’acqua contenuta nei macropori si muove all’interno del suolo con velocità rallentata e ciò porta ad una decapitazione delle punte da piena distribuendo questa in tempi, che riferiti all’inizio delle piogge, risultano da 2 a 7 volte maggiori.
Se le piogge sono prolungate e raggiungono, pur con modeste intensità, una notevole altezza, il sistema soprassuolo-suolo, esaurita la propria capacità dispersiva, lascia defluire, ma sempre moderandone la velocità, ogni ulteriore quantità di acqua. Invece con piogge di breve durata e di forte intensità, ma di non grande altezza, i boschi efficienti possono essere in grado di catturare tutta l’acqua caduta, a meno di rare eccezioni, che dovrebbero comunque avere brevissima durata.

Funzione turistico-ricreativa e di salvaguardia dell'ambiente naturale

Questa funzione, pur essendo sempre stata, sia pure in vari modi, considerata, ha assunto solo negli ultimi decenni una importanza tale da potersi porre allo stesso livello delle due precedenti. L’attuale civiltà industriale e post-industriale, creando all’uomo condizioni di vita sempre più innaturali nei centri urbani, ha rivalorizzato agli effetti dell’equilibrio psichico e fisico della società contemporanea i servigi che il bosco può rendere.
Gli Stati Uniti sono stati decisamente i precursori in materia di ricreazione all’aperto e di educazione naturalistica del pubblico. Il primo parco sorse già nel 1872 a Yellowstone e venne seguito a breve distanza dall’altro celebre parco delle sequoie. Ci si accorse ben presto (in particolare con lo sviluppo dell’ecologia) che l’equilibrio delle biocenosi (ovvero della vita in comune tra le varie specie di animali e di piante) non era immutabile, che subiva anzi continue oscillazioni. Che perciò gli interventi dell’uomo dovevano innestarsi con cognizione di causa nei processi naturali ed essere accuratamente dosati. Da allora le foreste dei parchi sono state gestite come se fossero boschi vergini, lasciando per esempio marcire gli alberi che per decrepitezza cadevano a terra e intervenendo solo con prudenti misure (per esempio lotta contro gli insetti parassiti) a mitigare certi scompensi biologici. Ciò che del sistema americano di protezione della natura e di gestione venatoria colpisce maggiormente l’europeo è la smisurata estensione delle terre di proprietà federale e statale, che ha le proprie origini nell’evoluzione storica degli Stati Uniti Ad un certo momento è stato facile al governo riprendere ai colonizzatori vasti distretti rurali, dati in concessione, ma non coltivati, come prescritto, a regola d’arte. Nonostante le dimensioni del territorio nazionale, la situazione demografica e la doviziosa disponibilità di boschi, il problema della ricreazione a contatto della natura preoccupa i responsabili, a causa dell’elevatissimo numero di presenze all’interno delle aree aperte al pubblico. Infatti il turismo di massa, se non guidato con polso fermo e non proporzionato alla capacità recettiva degli ecosistemi, ne insidia l’equilibrio in modo più grave del pascolo e perfino della selvicoltura di rapina (a cominciare dal calpestio del terreno).
Il punto fondamentale è stabilire in quale misura e con quali modalità, indipendentemente dai benefici economici diretti, il turismo può essere ammesso in foresta senza comprometterne l’esistenza e senza diminuirne troppo la funzionalità tutelare e produttiva.

Le foreste rappresentano importanti serbatoi di carbonio e contribuiscono alla riduzione dell’incremento dei gas serra nell’atmosfera e al miglioramento della salute del nostro Pianeta. Esse non forniscono solo tantissimi beni utili per rendere vivibile il presente (legna, cibo, ecc.), ma svolgono anche una pluralità di funzioni essenziali per rendere possibile il futuro (Corrado, 2005):
- La conservazione dell’acqua;
- La purificazione dell’aria;
- La mitigazione del cambiamento climatico globale e dei processi di desertificazione;
- Il mantenimento dei cicli biogeochimici del terreno;
- La conservazione della biodiversità;
- Il miglioramento delle condizioni di vita urbane e periurbane;
- La protezione dell’eredità naturale e culturale;
- La creazione di lavoro;
- Le opportunità ricreative, educative e spirituali.

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