Unita' didattica 2
Analisi di gestione mediante indici di bilancio - Economia agraria

Analisi di Gestione - Le catene di indici ed i quozienti finanziari

  1. Indici economici

I parametri tecnici non considerano in alcun modo le componenti del Conto Economico che abbiamo riclassificato precedentemente. Lo schema di Fig. 6 mostra invece un elenco di indici calcolati ponendo al numeratore alcuni degli aggregati economici elaborati nello schema di riclassificazione. Il quadro strutturale offerto dai parametri tecnici viene così completato da una serie di informazioni relative alle caratteristiche economiche dell’azienda analizzata.

Fig. 6 - Gli indici economici

  1. PLV/UL

  1. PLV/SAU

  1. VA/SAU

  1. RO/UL

  1. RN/UL

  1. K/VA


Ecco di seguito una descrizione dei parametri proposti nello schema di Fig. 6:

  1. PLV/UL (Produzione lorda vendibile per unità di lavoro): esprime la produttività del lavoro, misurata in lire per occupato. Tanto più assume valori elevati, tanto migliore è da considerarsi l’efficienza economica per addetto.

  2. PLV/SAU (Produzione lorda vendibile per ettaro): misura la produttività della terra, e la sua analisi viene affiancata a quella dell’indice PLV/UL in quanto entrambi sono parametri fondamentali che forniscono una prima indicazione sul grado di redditività dell’azienda anche se occorre ricordare che nella PLV non sono considerate quelle componenti di costo che potrebbero in teoria ribaltare i risultati in termini di reddito. Inoltre elevati livelli di questi indici potrebbero derivare da un rapporto tra valori assoluti di modesta entità (es. basse produzioni su piccolissime superfici.

  3. VA/SAU (Valore aggiunto per ettaro): evidenzia quante lire di valore aggiunto sono state ottenute da ogni ettaro di terra lavorato. Comparato a PLV/SAU, essendo inclusa in questo la categoria dei costi variabili e delle spese generali, consente di valutare indirettamente l’incidenza di tali costi. In una agricoltura moderna, dove è sempre più elevato il peso assunto dai consumi intermedi (costi dei fattori di produzione variabili), un livello di questo indice superiore alla media è un positivo segnale di efficienza della gestione.

  4. RO/UL (Reddito operativo per unità di lavoro): mostra la redditività unitaria del lavoro della gestione caratteristica. Quindi considera solo le attività derivanti dalla produzione di beni e servizi agricoli.

  5. RN/UL (Reddito netto per addetto a tempo pieno): misura la redditività unitaria globale, estendendo l’analisi alle altre componenti reddituali atipiche o straordinarie. Dalla comparazione tra RO/UL e RN/UL è possibile dedurre immediatamente se il reddito è garantito dai processi produttivi tipici o da attività straordinarie od occasionali.

  6. K/VA (Capitale agrario diviso il Valore aggiunto): consente di esprimere valutazioni sull’efficienza degli investimenti aziendali., intesa come capacità di ottenere adeguati livelli di VA a parità di dotazione di macchine e/o di consistenza degli allevamenti (da valutare in questo caso anche l’incidenza della gestione delle scorte).

  1. Catene di indici

Come già detto, l’analisi per indici non può essere limitata ad una interpretazione dei singoli coefficienti, ma deve essere condotta tenendo conto che i diversi parametri si integrano tra loro e che la comparazione tra i rispettivi valori consente di incrociare le informazioni rendendo più incisiva l’analisi della gestione.
Una semplice tecnica che consente di impostare una lettura logico-interpretativa degli indici è quella conosciuta come analisi delle catene di indici. Attraverso la definizione di una serie di relazioni tra i parametri tecnici ed economici essa facilita la scomposizione di un fenomeno gestionale in diverse componenti.

Formare una catena i indici è assai semplice. La procedura si basa su un semplice meccanismo di costruzioni di relazioni aritmetiche. Se ad esempio si vuole approfondire l’analisi dell’indice PLV/SAU, si può introdurre un nuovo elemento (nel nostro caso le UL) collegato logicamente alle componenti dell’indice, scindendo l’informazione originaria in due quozienti:

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L’indice alla sinistra della relazione viene definito indice capofila, mentre quelli a destra si dicono anelli della catena di indici. Si può notare che, attraverso una elementare semplificazione dei numeratori e dei denominatori, le catene di indici si riducono all’indice capofila.

Ma come si interpretano le catene di indici? Analogamente a quanto suggerito per i singoli parametri, anche in questo caso occorre trovare dei valori di riferimento che consentano di esprimere un giudizio qualitativo con valutazioni del tipo positivo o negativo. I livelli di comparazione possono derivare da medie di aziende similari o di una serie storica della stessa azienda. L’analisi viene solitamente condotta partendo dall’indice capofila confrontandolo con il livello di riferimento. Passando poi ai singoli anelli si tratta di verificare come ciascuno di essi si differenzia dalle medie, individuando così in maniera più analitica le cause di difformità dell’indice capofila.
Un’utile indicazione può essere inoltre fornita dalla sostituzione del valore di un anello della catena con quello dell’azienda migliore (o dell’annata più favorevole) e ricalcolando quindi l’indice capofila: la variazione rispetto al valore originario consente di verificare l’importanza che assume quel particolare quoziente nel contesto.
Si possono ovviamente formare catene composte da più di due anelli introducendo successivamente altre relazioni che si ritengono interessanti in quanto apportatrici di nuove informazioni rispetto all’indice capofila, raggiungendo livelli di complessità notevoli come nel caso delle catene utilizzate nelle tecniche di analisi dell’efficienza aziendale.
In questa dispensa sono state selezionate alcune semplici catene che si ritengono utili per un’analisi di bilancio basata su un numero limitato di aziende agricole; le prime due vengono di seguito riportate.

Esempi di catene composte da più indici

  1. Redditività per Unità di Lavoro Familiare

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  3. Redditività della terra

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La prima catena (I) focalizza l’attenzione sulla redditività per Unità di Lavoro Familiare (ULF), e la scinde in tre componenti: la redditività per ettaro, la disponibilità di terra per lavoratore, e la quota di manodopera extrafamiliare.
L’analisi di questa catena consente di valutare se una insoddisfacente remunerazione della manodopera familiare è dovuta a cause strutturali (inadeguato rapporto terra/lavoro o eccessivo utilizzo di lavoratori avventizi o salariati), oppure a risultati economici al di sotto delle aspettative.
Proprio l’analisi dei risultati economici è l’obiettivo della seconda catena (II). Essa è imperniata sulla scomposizione dell’informazione derivante dalla redditività della terra in cinque anelli basati sulle componenti del conto economico riclassificato. Il primo rappresenta la produttività unitaria della terra: un valore al di sotto della soglia di riferimento è sintomo di una incapacità di produrre quantità di prodotto soddisfacenti o di spuntare prezzi di mercato non remunerativi. Il secondo fornisce un’indicazione sull’incidenza dei costi variabili: quando l’indice è inferiore al valore di riferimento segnala un ricorso eccessivo ai fattori di consumo (fertilizzanti, antiparassitari, sementi, ecc.). Il terzo anello della catena permette di verificare il peso dei costi fissi ed in definitiva di valutare se la struttura aziendale è adeguata al livello di attività dell’azienda oppure se un eventuale sovradimensionamento grava negativamente sul reddito attraverso le quote di ammortamento. L’anello successivo consente di valutare come incidono i costi della manodopera, e di verificare se il ricorso a lavoratori avventizi e/o salariati è causa di una scarsa redditività. Infine, l’ultimo indice si riferisce alle componenti extragestionali che possono avere un ruolo determinante nella formazione della redditività unitaria contribuendo positivamente (es. proventi extragestionali o negativamente (es. oneri finanziari) alle determinazioni dell’indice capofila di questa catena.

  1. Indici della redditività

Prima di introdurre altre catene di quozienti frequentemente utilizzate, è opportuno presentare un gruppo di parametri di grande utilità in tutte le analisi di bilancio: gli indici della redditività (Fig. 7). Questi indicatori si riferiscono in particolare alla redditività dei capitali aziendali considerata come capacità degli investimenti effettuati di generare componenti economiche positive e quindi reddito. Sono indici solitamente analizzati nei settori extragricoli, ma che trovano una valida applicazione anche nella moderna agricoltura, dove le risorse investite sia per la loro entità che per la loro variabilità, assumono progressivamente maggiore rilevanza.
Per il calcolo dei singoli parametri è opportuno innanzitutto fare alcune precisazioni che riguardano sia il valore dei capitali da porre al denominatore, sia quello del reddito al numeratore.

I valori dei capitali investiti in azienda, presenti nel bilancio di fine anno (consuntivo), misurano la consistenza strutturale al momento della chiusura contabile, ma nel corso dell’esercizio vi possono essere state anche forti variazioni in seguito ad acquisizioni o cessioni (anche se il meccanismo dell’ammortamento tende appunto a livellare queste fluttuazioni), che rendono tali voci di bilancio poco adatte per basare su di esse il calcolo della redditività.

Il problema potrebbe essere molto complicato e richiedere calcoli particolarmente sofisticati. Nella pratica di analisi di bilancio si segue una procedura molto semplice: quella di utilizzare la media dei valori tra inizio e fine esercizio (semisomma) in maniera tale da attenuare eventuali escursioni infrannuali.
Altra precisazione riguarda i redditi per le aziende agricole a conduzione diretta: come è noto nei bilanci di queste imprese non è valorizzato il costo della manodopera familiare, per cui nel calcolo del reddito (operativo e netto) è assente una componente assai rilevante di costo che provocherebbe un aumento generalizzato degli indici di redditività.
Per ovviare a questo inconveniente si possono percorrere due strade: la prima, più radicale, consiste nel confrontare gli indici solo fra aziende che utilizzano esclusivamente manodopera familiare: la seconda si basa su una valorizzazione delle ore lavorate dai familiari presso l’azienda, utilizzando una tariffa di mercato (es. di un operaio avventizio), in maniera tale da reintrodurre all’interno del reddito operativo e netto quella componente mancante di costo, rendendo comparabili gli indici di redditività anche fra aziende che fanno un diverso ricorso al mercato del lavoro.

Fig. 7 - Gli indici della redditività

  1. ROE = Reddito netto/Capitale netto

  1. ROI = Reddito operativo/Capitale investito

  1. ROS = Reddito operativo/PLV

  1. ROD = Oneri finanziari/Fonti di terzi

Fatte queste puntualizzazioni, si può descrivere il primo indice: ROE (return on equity).

Il ROE definisce la redditività del capitale proprio e misura, per ogni lira di capitale di proprietà investito, quante ne sono ritornate alla fine dell’anno contabile sotto forma di reddito netto. L’indice è preferibilmente espresso in termini percentuali per renderlo simile ad un ipotetico tasso di interesse attivo che l’imprenditore sarebbe riuscito ad ottenere investendo il proprio denaro nelle attività aziendali.

In effetti questo indice viene solitamente comparato con i rendimenti sui depositi bancari della zona nella quale opera l’azienda: tale comparazione in agricoltura è spesso deludente: i bassi livelli assunti dal ROE sono sintomatici della difficoltà per gli imprenditori del settore primario di conseguire redditi soddisfacenti e comparabili con quelli degli altri settori economici. Bisogna considerare che il ROE, a differenza degli interessi attivi sui depositi, dovrebbe remunerare anche le capacità imprenditoriali ed il rischio insito in ogni attività economica.
Esso in definitiva dovrebbe assumere livelli decisamente superiori ai tassi bancari, altrimenti per l’imprenditore agricolo è economicamente più conveniente investire in titoli di Stato piuttosto che in attività produttive. Questo tipo di giudizio è limitato ovviamente ad una valutazione di tipo economico-finanziario che non tiene conto di tutte quelle altre componenti soggettive (tradizione, abitudini di vita, legame con il territorio, mancanza di alternative occupazionali, ecc.) non quantificabili, che rendono accettabili anche bassi livelli del ROE. Inoltre bisogna considerare che la terra rappresenta un bene rifugio che ha la particolare capacità di valorizzarsi nel tempo e di costituire quindi una sorta di fonte reddituale nascosta per l’imprenditore agricolo.

Il successivo indice, ROI (return on investments) , è formulato come rapporto tra il reddito operativo ed il capitale investito totale, ed individua la redditività degli investimenti totali.

Il reddito operativo è già stato presentato nel paragrafo dedicato alla riclassificazione del Conto Economico. Il Capitale Investito è invece costituito dal totale delle Fonti di finanziamento impiegate dall’azienda, comprese quindi sia quelle messe a disposizione dalla proprietà (capitale netto o sociale) che quelle di finanziatori esterni (fornitori, banche, ecc.). Come il ROE, anche il ROI viene espresso in percentuale. Fornisce indicazioni sul rendimento del capitale in azienda indipendentemente dal soggetto finanziatore. In altre parole misura la valorizzazione di cento lire investite nel periodo intercorso, attraverso le attività considerate tipiche. Attenzione quindi! Mentre il ROE rappresenta un utile indicatore per l’imprenditore per verificare la sua convenienza a mantenere delle risorse in azienda, il ROI permette di valutare la capacità dell’impresa di produrre un reddito operativo adeguato al volume delle risorse finanziarie utilizzate.

Per rendere più agevole la comprensione dei due indici fin qui presentati, introduciamo ora il ROD (return on debts), calcolato come rapporto tra il totale degli oneri finanziari e le risorse finanziarie di terzi utilizzate nella gestione aziendale. Questo parametro stima il costo del denaro preso a prestito nel corso dell’anno, e, se percentualizzato, è assimilabile ad un tasso di interesse passivo medio pagato dall’azienda.

Dunque se il ROD esprime il costo dei finanziamenti, mentre il ROI il loro rendimento globale, la differenza tra i due indica se l’azienda è stata in grado di generare un reddito sufficiente per pagare gli interessi sui debiti. La differenza tra ROI e ROD viene identificata con il termine effetto leva finanziaria in quanto consente di evidenziare in che modo l’indebitamento concorre nella formazione del reddito aziendale.
Oltre al caso particolare in cui i due indici risultino identici (effetto leva nullo), vi possono essere altre due circostanze:

  • se il ROI è maggiore del ROD significa che il reddito operativo ha permesso di coprire i costi derivanti dal denaro preso a prestito ed esiste un ulteriore margine che va a favore dell’imprenditore. Se ne deduce che se anche in futuro l’azienda potrà mantenere questi livelli di redditività, sarebbe conveniente ricorrere ulteriormente ai finanziatori esterni: infatti per ogni lira di debito aggiuntivo, la differenza ROI-ROD va ad incrementare il reddito netto (effetto leva positivo);

  • viceversa nel caso in cui il ROI risulti inferiore al ROD, l’azienda non è stata in grado di generare un reddito tale da coprire gli oneri finanziari. Da un lato, l’imprenditore è costretto a rifondere la differenza, e dall’altro deve assolutamente limitare il ricorso a finanziatori esterni se non vuole compromettere anche i futuri risultati gestionali (effetto leva negativo).

L’ultimo indice della redditività è il ROS (return on sales), formato dal rapporto tra reddito operativo e PLV, che misura la quota di reddito derivante dalla gestione tipica. Maggiore è il suo valore, migliore è stata la capacità dell’azienda di conseguire prezzi di vendita remunerativi e/o di limitare i costi dei fattori di produzione.

Gli indici appena esposti possono essere combinati tra loro a formare due catene che hanno rispettivamente come indici capofila il ROE ed il ROI.

  1. Catena del ROE

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    RN = Reddito netto
    RO = Reddito operativo
    CI = Capitale investito
    CN = Capitale netto

  3. Catena del ROI

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Attraverso la prima concatenazione possiamo stabilire se il livello di redditività dell’azienda analizzata è legato maggiormente alla gestione caratteristica (ROI), a quella atipica (RN/RO), oppure alla provenienza dei finanziamenti. In particolare quest’ultimo anello della catena individua il livello di indebitamento che assume valori più elevati tanto più l’indice si discosta da 1, e svolge un effetto moltiplicatore sul reddito, incrementandolo se l’effetto è positivo, diminuendolo in caso contrario.
Con la seconda catena si scende nel dettaglio della gestione caratteristica, individuando le componenti di redditività dovute alla capacità di conseguire dei margini elevati sulle vendite (ROS) o di ottenere produzioni elevate rispetto ai capitali investiti. Quest’ultimo rapporto viene definito rotazione del capitale investito e misura la velocità con cui le risorse finanziarie vengono utilizzate all’interno dei processi produttivi. Tale velocità dipende soprattutto dall’indirizzo produttivo dell’azienda: gli allevamenti e le ortive in serra necessitano generalmente di maggiori investimenti rispetto alle produzioni cerealicole e questo comporta un abbassamento dell’indice di rotazione (capitali investiti più elevati), per cui queste aziende dovranno agire maggiormente sulla redditività delle vendite, per conseguire redditività soddisfacenti.

  1. Quozienti finanziari

La gestione finanziaria delle aziende agricole è solitamente poco analizzata, sia per le difficoltà di individuare i flussi finanziari (la contabilità INEA si limita a rilevare i crediti ed i debiti) sia per l’importanza tradizionalmente assunta dal controllo dei costi di produzione. Si è però potuto rilevare nel precedente paragrafo come anche le risorse finanziarie, se ben calibrate, da un lato concorrano al miglioramento dei risultati reddituali, e dall’altro consentano di migliorare le dotazioni aziendali che potrebbero essere limitate dalla disponibilità di mezzi propri. Inoltre nell’agricoltura moderna si sta assistendo ad una dilatazione dello sfasamento temporale tra aspetti economici e finanziari (si pensi ai ritardi nella liquidazione delle compensazioni comunitarie) che rende indispensabile una valutazione attenta delle caratteristiche finanziarie della gestione. Attraverso gli indici proposti in questo paragrafo è possibile esprimere delle valutazioni sull’equilibrio finanziario aziendale, cioè sulla qualità della gestione finanziaria con riferimento ai due aspetti della conformità dei tempi e della provenienza delle fonti.
Per quanto riguarda la conformità dei tempi, l’analisi è rivolta a valutare la capacità dell’azienda di finanziare gli investimenti con fonti di durata uguale o superiore alla vita economica del bene durevole, cioè al tempo durante il quale esso potrà contribuire alla produzione del reddito. L’importanza di questa analisi risiede nel fatto che un investimento avrà la capacità di generare dei flussi finanziari positivi per tutta la durata della sua vita economica, e questi a loro volta serviranno per far fronte ai debiti, ad esempio per ricostituire il capitale preso in prestito nel caso di un mutuo. Ma se i tempi di restituzione dei mutui sono notevolmente più brevi di quelli dell’investimento, con una prevalenza di flussi finanziari negativi rispetto a quelli positivi, potrebbe accadere che l’azienda non riesca più ad avere denaro sufficiente per pagare le rate ed entrare così in crisi di liquidità. Spesso poi questo meccanismo sembra attirare le aziende in un circolo vizioso nel quale alla carenza di denaro si supplisce con l’indebitamento di breve periodo, peggiorando così la situazione. Una lettura ragionata degli indici proposti qui di seguito consente invece di verificare il corretto utilizzo delle risorse valutando dapprima il breve periodo poi il medio-lungo.

QUOZIENTI FINANZIARI

(1) Liquidità immediate + differite
              Passività correnti

 

(2) Liquidità immediate + differite + disponibilità
                           Passività correnti

 

(3) Passività consolidate + Mezzi propri
                   Capitale fisso

 

(4) Mezzi propri
    Capitale fisso

 

(5) Capitale investito
        Capitale netto

 

(6) Fonti di terzi
    Capitale investito

  1. Quoziente di liquidità: basato sul rapporto tra liquidità immediate e differite e passività correnti, fornisce una sintesi sulla capacità dell’azienda di far fronte agli impegni finanziari immediati. Il valore di tale indice deve essere superiore ad 1, meglio se si aggira attorno all’1,5 in quanto non sempre tutti i crediti possono essere immediatamente esigibili.

  2. Quoziente di disponibilità: accoglie al numeratore, oltre alle liquidità immediate e differite, anche il valore delle scorte(disponibilità) considerate potenzialmente convertibili in denaro nel breve termine. Il livello che indica un sostanziale equilibrio finanziario è da considerarsi attorno all’1,5-1,8.

  3. In genere i problemi finanziari maggiori riguardano il medio-lungo termine: essi sono evidenziabili attraverso l’analisi dei successivi due quozienti.

  4. Copertura finanziaria: riguarda il rapporto tra le passività consolidate e le immobilizzazioni nette, e se è superiore ad 1 indica che tutti i beni durevoli sono stati finanziati con fonti di medio-lungo termine; se invece è inferiore significa che una parte delle risorse utilizzate dovranno essere restituite nel breve periodo. Se questa condizione si protrae per più periodi contabili, l’azienda rischia uno scompenso strutturale che in breve può condurre a gravi crisi finanziarie.

  5. Quoziente del margine strutturale: assume un significato ancor più restrittivo rispetto al precedente ponendo al numeratore solo le fonti di finanziamento proprie. In questo caso un valore pari o superiore ad uno è sempre indice di equilibrio finanziario, ma occorre valutare se esiste un effetto leva positivo che consentirebbe un miglioramento dei risultati gestionali utilizzando risorse esterne.

  6. Questo discorso si ricollega al secondo tipo di equilibrio da valutare, quello che riguarda la provenienza delle fonti di finanziamento. Si è visto in precedenza come l’indebitamento non può avere sempre un significato negativo ma a seconda della redditività aziendale può essere vantaggioso per l’azienda attingere risorse dall’esterno. È altresì vero che maggiore è l’incidenza di fonti esterne, maggiore è l’influenza che soggetti diversi dall’imprenditore hanno sulla gestione ed in definitiva sulle scelte aziendali. D’altro canto minore è l’esposizione finanziaria del conduttore più basse sono le componenti di rischio connesse ad una malaugurata perdita di risorse proprie.

    Gli indici che consentono di misurare il ricorso dell’azienda ai finanziatori sono:

  7. Quoziente di indebitamento: è già stato introdotto in occasione delle catene di indici e rapporta il Capitale Investito al Capitale Netto: maggiore è lo scostamento da uno, più elevato è il grado di indebitamento.

  8. Quoziente di indipendenza: fornisce un’informazione complementare al precedente in quanto esprime la quota delle fonti di finanziamento esterne rispetto alle totali. In questo caso l’indice varia da zero ad uno a seconda che l’azienda sia totalmente indipendente o totalmente dipendente da risorse esterne.

Non è possibile stabilire dei livelli di riferimento per questi quozienti in quanto bisognerebbe caso per caso stabilire i fabbisogni finanziari e valutare le opportunità che offre il mercato. In generale i valori estremi sono da considerarsi negativi in quanto una totale autonomia finanziaria potrebbe non sfruttare appieno il meccanismo di leva finanziaria, viceversa il ricorso massiccio a finanziamenti esterni causerebbe una pericolosa dipendenza dell’azienda da soggetti esterni che, se di numero ridotto, sarebbero in grado di influenzare pesantemente le scelte aziendali (come nel caso di un unico fornitore e/o committente).
Un’ultima annotazione riguarda le modalità di calcolo di tutti i quozienti finanziari.

Per comodità espositiva in questa dispensa i rapporti sono stati presentati ponendo al numeratore e al denominatore i valori del bilancio consuntivo, ma poiché questi si riferiscono ad un istante convenzionale (solitamente il 31 dicembre), il loro livello potrebbe non essere rappresentativo della reale situazione finanziaria aziendale. Infatti nel caso in cui vi fosse una forte variabilità nel tempo dei flussi finanziari è opportuno procedere ad una media dei valori di inizio e fine periodo o meglio ancora a medie infraannuali se gli indirizzi produttivi sono fortemente legati a cicli stagionali.

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