Riso - Oryza sativa L.
Atlante delle coltivazioni erbacee - Piante industriali

Classe: Monocotyledones
Ordine: Glumiflorae
Famiglia: Graminaceae  (Gramineae o Poaceae)
Tribù: Orizeae
Specie: Oryza sativa L.
Al genere Oryza appartiene anche la specie O. glaberrima Steud., coltivata solo in piccole zone dell'Africa tropicale occidentale.

Francese: riz; Inglese: rice; Spagnolo: arroz; Tedesco: Reis.

Il riso è pianta di antichissima coltivazione, originaria del sud-est asiatico a clima tropicale e subtropicale.
Il riso è una delle principali risorse alimentari dell'umanità: oltre la metà di essa basa sul riso la sua alimentazione. Nel mondo si producono annualmente oltre 550 milioni di t di riso su oltre 150 milioni di ettari, prevalentemente nelle regioni a clima caldo e molto umido dei tropici e dei subtropici, dove gli altri cereali non prosperano.
In Italia la risicoltura è estesa su circa 220.000 ettari e localizzata quasi totalmente nella Valle Padana ed in particolar modo nelle zone dove sono disponibili per l'irrigazione grandi quantità d'acqua a basso costo. In Italia in consumo annuo pro capite di riso è pari a circa 5,5 kg (nel Laos si raggiungono i 170 kg pro capite/anno).
Le province maggiormente risicole sono quelle di Vercelli, Pavia, Novara, Milano, che da sole raggruppano poco meno del 90% della totale superficie investita a riso; altre province risicole sono Mantova, Verona, Rovigo e Ferrara. Tracce sporadiche di coltivazione di riso ci sono anche nell'Italia centrale (Siena, Grosseto) e insulare (Sardegna); il che significa che il riso si può coltivare ovunque, purché ci sia acqua in abbondanza e a basso prezzo.

Riso - Oryza sativa L. Riso - Oryza sativa L. (foto CS Kuoh www.efloras.org)

Caratteri botanici

Quasi tutto il riso coltivato nel mondo appartiene alla specie Oryza sativa, gra­minacea della tribù delle Oryzeae. Solo in Africa si è originata ed è tuttora limi­tatamente coltivata una specie a sé stante: l'Oryza glaberrima.
L'Oryza sativa è ricchissima di forme; secondo la più recente e affer­mata classificazione le forme coltivate possono essere ascritte a due sotto­specie:
- Oryza sativa subsp. indica
- O.s. subsp. japonica.
I risi del tipo indica sono molto sensibili al fotoperiodo (sono brevi­diurni) e adatti quindi ai climi tropicali (sono diffusi tra 0° e 25° di latitudine), hanno ciclo lungo, sono rustici ma soggetti all'allettamento e la granella è lunga (rapporto lunghezza/larghezza superiore a 3), stretta, appiattita, resistente alla cottura e non incollante.
I risi di tipo japonica sono diffusi nelle zone temperate, essendo poco sensibili al fotoperiodo; hanno esigenze termiche minori rispetto ai risi indica, ma maggiori esigenze nutrizionali; la paglia è piuttosto corta e robusta, la produttività elevata; la granella è corta (rapporto lunghezza/larghezza minore di 3) e tozza, poco resistente alla cottura e tendente ad incollarsi.
Il riso è dotato di un sistema radicale costituito da radici embrionali e da radici avventizie.
Anche nel riso si ha una fase di accestimento e di emissione delle radici avventizie, più vigorose delle embrionali; quindi una fase di levata alla quale corrisponde lo sviluppo in lunghezza degli steli.
Nelle radici avventizie non più giovani compaiono dei «vasi aeriferi», che assicurano l'aerazione delle radici anche nell'ambiente sommerso in cui il riso vive.
Il culmo ha internodi cavi e nodi pieni e si sviluppa in modo analogo al frumento. Le foglie, in numero diverso secondo la varietà, ma di solito 5-7 per culmo, sono costituite di una guaina e di una lamina, ruvida per la presenza di peli corti e duri. La ligula è lunga e le auricole pelose.
L'infiorescenza è un panicolo terminale ramificato che porta spighette uniflore, formate di glume molto più piccole delle glumelle, le quali ultime sono molto sviluppate, sovrapposte ai margini, appiattite e racchiudenti la carios­side come un astuccio.
La giumella inferiore può essere mutica o brevemente aristata. Le glumelle possono anche presentare alla maturazione delle pigmentazioni tipiche in molte varietà.
Il fiore è ermafrodito e comprende un gineceo uniovulare, con stilo bifido e stigma piumoso e un androceo di sei stami.
Il frutto è una cariosside sempre vestita (che costituisce il «risone»), compressa ai lati, oblunga, con un pericarpo bianco o pigmentato, costituita in modo analogo alla cariosside del frumento. La fecondazione è strettamente autogama. Il peso di 1.000 cariossidi vestite varia da 25 a 45 grammi.
Naturalmente molto variabili sono la taglia del culmo, il portamento del fogliame, le dimensioni dei panicoli, la loro forma e il loro portamento, le dimensioni delle spighette e quindi delle cariossidi, il loro aspetto (vetroso od opaco) nonché la resa alla lavorazione, la produttività, la precocità, le caratte­ristiche organolettiche. L'altezza media è di 1-1,2 m tende ad essere abbassata sotto al metro con la selezione.

Riso - Oryza sativa L. Riso - Oryza sativa L. (foto www.ubcbotanicalgarden.org)

Esigenze ambientali

Clima

Il riso è esigentissimo in fatto di calore e di acqua, ma la sua più peculiare caratteristica ecologica è di tollerare la saturazione idrica del terreno per cui, pur non essendo una pianta acquatica, è adattato alle zone umide dei tropici e dei subtropici soggette anche a sommersione.
La temperatura deve essere elevata e costante in quanto il riso risente grave danno degli sbalzi termici. Nelle regioni equatoriali, dove la temperatura è costantemente alta, si fanno anche 2-3 raccolti all'anno. Nei climi temperati l'unica stagione di coltura possibile è quella primaverile-estiva e con l'ausilio di irrigazione fatta con sistemi tali da svolgere anche importanti funzioni termoregolatrici. Il ciclo dalla semina alla maturazione è di 150-180 giorni.
Le temperature minime vitali sono 12 °C per la germinazione; la levata e la fioritura si svolgono in modo ottimale a 23-25 °C.
Minori sono i fabbisogni termici nel corso della granigione. Il riso oltre che esigente in fatto di temperature è molto sensibile alle escursioni termiche giornaliere.
Dal punto di vista fotoperiodico il riso originariamente è brevidiurno, ma le varietà che si coltivano in Italia hanno una sensibilità al fotoperiodo molto attenuata, tanto da fiorire anche in regime di 15 ore giornaliere di luce.
Per quanto riguarda l'acqua, il riso può essere coltivato senza irrigazione («upland rice») solo là dove cadono regolarmente più di 200 mm di pioggia al mese per almeno 3-4 mesi. In Italia, dove il clima è temperato e dove le precipitazioni sono insufficienti, il riso è coltivato in terreno sommerso. In tal modo l'acqua, oltre a soddisfare le elevatissime esigenze idriche della pianta, costituisce anche un insostituibile soccorso termico per l'apporto diretto di calore (quando l'acqua abbia temperatura superiore a quella dell'aria) e per l'azione termoregolatrice, cedendo di notte e nei giorni freddi il calore accumulato nei periodi di insolazione intensa. Con la sommersione un'escursione termica giornaliera di 10-15°C viene ridotta ad appena 3-4°C.

Terreno

Per quanto riguarda il terreno, il riso si adatta ad ogni tipo e costituzione: sab­bioso, argilloso, basico o acido, ecc. purché umido. Nella risicoltura sommersa la limitazione principale in fatto di terreno sta nelle caratteristiche idrologiche del suolo stesso, che deve essere abbastanza impermeabile da potervi mantenere la lama d'acqua necessaria: circa 0,3 m di spessore.
Nella risaia sommersa il profilo del terreno è caratterizzato da un sottile strato ossidato in corrispondenza dell'interfaccia suolo-acqua, al di sotto del quale il terreno si trova in condizioni fortemente riducenti.
Il terreno deve essere sistemato in modo da rendere possibile l'uniforme distribuzione dell'acqua e un rapido prosciugamento per poter compiere le «asciutte» necessarie per certe operazioni colturali.

Varietà

Il riso è stato ed è tuttora soggetto ad un intenso lavoro di miglioramento genetico per quanto concerne: adattamento al fotoperiodo (precocità), alla pluviometria, alle basse temperature; resistenza all'allettamento; resistenza alle malattie.
Classificazione delle varietà di riso italiane.
In base alla precocità le varietà italiane sono distinte come segue:
- Precoci: che maturano entro un massimo di 150 giorni.
- Medie: che maturano entro un massimo di 155-165 giorni.
- Tardive: che maturano entro un massimo di 170-185 giorni.
In passato esistevano anche varietà precocissime (140 giorni) e lampo (125 giorni), utilizzate per la coltura intercalare trapiantata, oggi scomparsa.
C'è una relazione lineare che lega la produttività alla lunghezza del periodo vegetativo.
In base alla qualità i risi vengono distinti variamente secondo le dimensioni della cariosside e/o per caratteristiche organolettiche e di comporta­mento alla cottura dipendenti dal contenuto proteico delle cariossidi.
Fin quasi alla fine del XX secolo tutte le varietà di riso coltivate in Italia erano del tipo japonica. Recentemente l'intensificarsi degli scambi internazionali ha imposto di tener conto delle esigenze di consumatori di paesi i più diversi e di adottare una classificazione internazionalmente riconosciuta dei tipi di riso.
L'apprezzamento che su molti mercati trova il tipo Lungo B, che corrisponde al riso «indica», ha stimolato i risicoltori italiani a tentare l'introduzione di varietà straniere di questo tipo e i miglioratori genetici a costituire varietà di «indica» adattate all'ambiente climatico italiano. Nel giro di pochi anni il riso «indica» è entrato massicciamente nella risicoltura italiana.

Tecnica colturale

Avvicendamento

Nei terreni acquitrinosi o a falda troppo superficiale, dove quella del riso è l'u­nica coltura fattibile, il riso succede a se stesso indefinitamente (risaia perma­nente) poiché è specie che tollera la coltura ripetuta anche se inconvenienti di natura parassitaria tendono a manifestarsi.
Nella maggior parte delle zone risicole italiane la risaia si avvicenda, anche se con qualche difficoltà, con altre colture.
Le difficoltà risiedono nel fatto che la particolare sistemazione del ter­reno per la risaia non consente l'agevole risanamento idraulico richiesto dalle altre colture e che i costosi lavori di sistemazione della risaia vengono ammor­tizzati solo con più colture consecutive di riso.
Una rotazione assai seguita è quella in cui il riso occupa il 50% della superficie seminata, con il riso che succede a se stesso per 3-6 anni per poi essere seguito da una successione di pari durata di frumento, prati e/o colture da rinnovo. Tra un riso e l'altro, ove possibile, utile risulta la coltivazione inter­calare di una pianta da sovescio (es. trifoglio incarnato).
La risaia, pur dando luogo a uno stato ridotto e a un notevole dilavamento del terreno, esercita un'azione molto favorevole di rinettamento dalle erbe infestanti terrestri, per cui costi­tuisce una buona precessione per il fru­mento ed è da considerare pianta miglio­ratrice per questo cereale. Invece le col­ture da rinnovo trovano condizioni poco favorevoli subito dopo la risaia.

Sistemazione del terreno

Dovendo praticare l'irrigazione per sommersione, base della sistemazione è il perfetto spianamento del terreno e la delimitazione di questo con arginature. In Italia si riscontrano due modelli siste­matori delle risaie, legati a differenze pedologiche, topografiche e di struttura fondiaria: uno è diffuso nella Val Padana occidentale (Piemonte e Lombardia), l'altro nella Val Padana orientale (Mantova e province emiliane e venete).
Nel primo caso le aziende non sono molto estese e la pendenza dei ter­reni non è trascurabile per cui la superficie delle unità colturali, dette camere, sono modeste (2-3 ettari o meno); le camere sono delimitate da arginelli tem­poranei rifatti tutti gli anni. Per lo più le varie camere sono digradanti e l'acqua entra dalla bocchetta d'immissione posta a quota più elevata e passa successi­vamente nelle camere a quota più bassa (irrigazione a camere dipendenti). Nel caso, frequente in quest'area, che l'acqua dei fiumi alpini sia fredda, è neces­sario riscaldarla; a tal fine si predispone la caldana: una porzione della camera più alta viene sistemata con arginelli a pettine contrapposti che costringono l'acqua a fare un lungo percorso tortuoso, nel corso del quale l'acqua si riscalda prima di essere immessa nella risaia vera e propria.
Nella risicoltura veneta ed emiliana i terreni sono già naturalmente quasi perfettamente piani per cui lo spianamento è poco impegnativo e con­sente di fare unità colturali, dette bacini, di grande estensione (10-12 ettari) delimitati da grandi argini funzionanti da capezzagne.

Preparazione del terreno

Nelle zone risicole nord-occidentali la lavorazione del terreno è preceduta dal rifacimento o dal ripristino (mediante il riporto e il costipamento di terra) degli arginelli. Gli attrezzi impiegati sono l'arginatore e il rullo per arginelli. Nella risicoltura delle province orientali, invece, non esistono arginelli, ma solo i grandi argini permanenti.
La preparazione del terreno per il riso consiste in un complesso di lavori che, per lo più, vengono eseguiti in inverno-primavera. Questi lavori comprendono: aratura, affinamento, pareggiamento (arginellatura), slottamento, livellamento, costipamento (o intasamento).
L'aratura con rovesciamento completo della fetta è utile per ripristi­nare la struttura e, nel caso della risaia stabile o di riso dopo riso, per assicu­rare l'ossidazione degli strati di suolo che la prolungata sommersione fa passare allo stato ridotto. Per stabilire la profondità di aratura va esaminata la permeabilità del sottosuolo: se questa è elevata, l'aratura dovrà essere superficiale per evitare eccessivi disperdimenti d'acqua per percolazione; se il sotto­suolo è tenace e poco permeabile si potrà approfondire il solco senza timore ma sempre tenendosi a profondità modesta, non superando mai 0,30-0,35 m.
Di norma si fa una sola aratura, in autunno nei terreni argillosi e in quelli sortumosi o umidi, a fine inverno in quelli torbosi o sciolti.
La zappatrice rotativa è un'alternativa valida all'aratura, ma può predi­sporre ad infestazioni di specie propagantisi per via vegetativa come Scirpus maritimus, Butomus umbellatus, ecc.
Anche la vangatrice è da taluno adoperata per la lavorazione principale. All'aratura segue l'affinamento, il pareggiamento e l'intasamento even­tuale.
L'affinamento si fa con erpici di vario tipo.
Il pareggiamento, che ha lo scopo di assicurare il livellamento perfetto della camera, si fa immettendo nella risaia acqua che, fungendo da livella, con­sente di individuare colmi e bassure, e intervenendo con passaggi di spianone, a superficie liscia o munita di denti o zappette. In passato il pareggiamento era distinto nelle due operazioni dello slottamento a mano dei colmi affioranti e della successiva lisciatura con spianone.
L'intasamento dello strato attivo è un'operazione necessaria solo nei terreni eccessivamente permeabili, per ridurre le perdite per percolazione. Si tratta di provocare nella risaia allagata la formazione di torbida che sedimen­tandosi riduce la bibacità del terreno. Servono allo scopo appositi strumenti intasatori o anche, ottimamente, ripetuti passaggi veloci di trattrici munite di ruote a gabbia. In paesi ad agricoltura non meccanizzata l'intasamento è otte­nuto col prolungato calpestio di bufali.

Semina

Scelta delle varietà. Nella coltura del riso la scelta delle varietà da seminare è subordinata alle condizioni climatiche, alla temperatura dell'acqua, alla pre­cessione colturale. La scelta delle varietà da seminare s'orienta di solito su due o tre tipi di riso che differiscono tra loro per la durata del ciclo di sviluppo e per le carat­teristiche mercantili del prodotto: non conviene coltivare ' molte razze. Varietà precoci sono da preferire quando si debba liberare presto il terreno per la successiva semina del frumento, quando occorra distribuire nel tempo i lavori e quando le acque siano fredde.
Ricordiamo che la semente di riso deve rispondere ai requisiti di purezza, germinabilità, sanità. La germinabilità non deve essere inferiore all'85%, ma una buona semente deve avere oltre il 90% di germinabilità e un'alta energia germinativa.
Anche per il riso si distinguono tre categorie di seme in base alla purezza varietale: semente di base, certificata di 1° riproduzione, certificata di 2° riproduzione. Le tolleranze riguardano la purezza varietale e il numero di grane rosse, cioè di granelli con pericarpo pigmentato di rosso (che non devono essere più di 2 in 500 grammi di risone di base o di 5 in 500 g delle altre categorie).
La stagione di semina del riso varia a seconda della temperatura del­l'acqua, della coltura precedente, della precocità della varietà, ecc. In genere è compresa tra la metà di aprile e la metà di maggio, ma con varietà molto pre­coci ci si può spingere fino alla fine di maggio per motivi di organizzazione.
Per avere un'emergenza soddisfacente occorre che la temperatura rag­giunga i 12-14 °C.
La quantità di risone che comunemente si usa va dai 150 ai 220 kg per ha e talvolta anche di più; l'obiettivo è di realizzare un popolamento di 250-300 piante per m2.
La semina viene preceduta da due operazioni preparatorie della semente; l'ammollamento e la disinfezione.
L'ammollamento consiste nell'immersione in acqua per parecchie ore dei sacchi contenenti la semente, onde facilitare l'affondamento delle carios­sidi al momento della semina e inoltre anticipare la germinazione e la nascita del riso.
Tradizionalmente la semina si fa su terreno inondato. La semina segue immediatamente il passaggio dello spianone, di modo che la copertura del seme avviene per il depositarsi della torbida sollevata da questo. Il sistema più usato è la semina a spaglio fatta a macchina; si impiegano i comuni spandicon­cime centrifughi portati dal trattore o seminatrici centrifughe dotate di motore ausiliario; anche le seminatrici universali possono essere adoperate: senza distributori assicurano una semina a spaglio molto regolare.
Semina in risaia asciutta. Una tecnica di semina che tende ad esten­dersi, perché atta a semplificare il controllo delle infestanti, è la semina del riso su terreno asciutto cui seguirà la sommersione dopo 20-35 giorni a riso già nato e con 2-3 foglie.

Trapianto

Il riso, oltre che direttamente in posto, può essere seminato in semenzaio per essere poi trapiantato.
Il trapianto in Italia è completamente scomparso; si praticava estesa­mente in passato per guadagnare tempo e poter fare il riso come coltura inter­calare dopo frumento o dopo il primo taglio di un prato. Questo sistema è ancora molto seguito ai tropici perché fa guadagnare tempo, consentendo fino a tre raccolti all'anno, e fa risparmiare semente.

Governo dell'acqua

La conduzione dell'irrigazione in risaia è di grandissima importanza per assicu­rare alla coltura nelle sue varie fasi le migliori condizioni di temperatura, di disponibilità di elementi nutritivi, di controllo delle erbe infestanti o di certi parassiti, e in conseguenza richiede grande perizia in chi deve regolare i flussi di alimentazione e di scarico delle camere o dei bacini.
Non c'è una regola generale precisa.
Il consumo d'acqua nella risaia è enorme: secondo la minore o mag­giore permeabilità del terreno sono richieste portate continue da 1 a 5 (media 2,5) litri al secondo per ettaro (e talora più, in terreni permeabilissimi). Consi­derando una stagione di 5 mesi ciò porta a volumi stagionali d'adacquamento variabili da 13.000 a 65.000 m3/ha e oltre.

Esempi di governo dell'acqua in risaie di diverse aree
Nel Vercellese la tecnica oggi più diffusa prevede le seguenti manovre.
1) Sommersione con 20-30 mm d'acqua per fare il livellamento (indicativamente ai primi di aprile).
2) Aumento della lama d'acqua a 55 mm (massimo 70-80) per fare la semina e suo mantenimento per i 15-20 giorni successivi (germinazione); data indicativa: 10-30 aprile.
3) Aumento della lama d'acqua a 0,1 2-0,1 3 m per 10 giorni, in modo da sommergere
completamente le plantule per fare il trattamento contro i giavoni (primi di maggio).
4) Riduzione della lama d'acqua a 80-100 mm per 30-35 giorni (cioè fin verso la metà di
Giugno).
5) Asciutta di 2-3 giorni per fare il diserbo contro ciperacee, alismatacee e altre specie non graminacee.
6) Sommersione con 80-100 mm d'acqua per due settimane.
7) Asciutta di una settimana per fare la concimazione in copertura all'inizio della levata (ultimi giorni di giugno).
8) Sommersione con 80-100 mm d'acqua fin verso la fine di agosto, stadio di maturazione lattea.
Con la sospensione dell'irrigazione il terreno è lasciato prosciugare in modo che le risaie siano agibili in settembre per le macchine da raccolta.
Nelle terre torbose del ferrarese il governo dell'acqua è un po' diverso. Intanto la lama d'acqua è sempre molto più alta che nel caso visto prima: 0,20-0,25 m. E poi praticata un'asciutta detta di radicamento verso la metà di giugno per favorire lo sviluppo dell'appa­rato radicale, mentre non si pratica l'asciutta di inizio levata, la quale sarebbe controprodu­cente favorendo un eccessivo rilascio di azoto da parte del terreno che è molto ricco di sostanza organica.
La concimazione organica, sotto forma di letamazione e/o di sovescio, è stata in passato la principale forma di fertilizzazione della risaia, soprattutto nei ter­reni poveri di sostanza organica.
Oggi che la scomparsa degli allevamenti zootecnici dalle zone risicole ha fatto venir meno la disponibilità di letame, la fertilizzazione è basata preva­lentemente sull'impiego dei concimi minerali e sulla reintegrazione nel terreno di tutti i residui colturali.
La concimazione minerale è quindi la base indispensabile per assicu­rare le massime rese.
Per la concimazione fosfatica i quantitativi di P2O5 comunemente impiegati sono di 70-80 kg/ha.
La concimazione potassica è praticata quasi esclusivamente nel comprensorio risicolo della zona prealpina occidentale dove i terreni sono dilavati ed acidi, nella quantità di 100-150 kg/ha di K2O; poco o nulla usati sono i con­cimi potassici nel Delta padano dove i terreni sono alluvionali.
I concimi fosfo-potassici vanno dati prima dell'aratura, in modo che si trovino negli strati esplorati dalle radici.
Per la concimazione azotata vale lo stesso principio enunciato per il frumento, e cioè di dare tanto azoto quanto la resistenza all'allettamento della varietà consente, tenendo inoltre presente che un eccesso di azoto predispone la coltura del riso anche all'attacco del brusone.
Le dosi di azoto variano molto, com'è ovvio, oltre che secondo la varietà, secondo natura del terreno, coltura precedente, ecc.
Con le varietà attuali le dosi di azoto ordinariamente fornite sono 100­-150 kg/ha.
Per assicurare la nutrizione azotata del riso durante le fasi di accesti­mento, levata e fioritura, si è visto che la tecnica migliore è quella di fare la concimazione azotata in tre volte: la prima dando il 20-25% della dose prevista alla semina, sotto forma di urea; la seconda azotatura va fatta in copertura verso la fine dell'accestimento, la terza all'inizio della levata.
La forma del concime azotato per la risaia ha grandissima importanza. L'azoto sotto forma nitrica o nitro-ammoniacale è da escludere categorica­mente perché troppo solubile, dilavabile e soggetto a denitrificarsi negli strati sottosuperficiali del suolo che trovansi allo stato ridotto.
L'urea è il concime azotato ideale per la risaia.

Controllo delle infestanti

La risaia sommersa è un agroecosistema del tutto particolare nel quale la vege­tazione infestante che vi si insedia ha caratteristiche altrettanto particolari, ad esempio comprendendo alghe oltre che piante superiori adattate al particolare habitat della risaia.
La lotta contro le infestanti della risaia è sempre stata pratica indi­spensabile, ancorché estremamente impegnativa, faticosa e onerosa.
La flora infestante delle risaie è caratteristica per avere come habitat ambienti palustri o comunque saturi d'acqua, per cui comprende specie diverse da quelle che si trovano negli agroecosistemi di terraferma: alghe, piante acquatiche vere e proprie (Potamogeton, eterantera); piante palustri (ciperacee, butomacee, alismatacee); piante tolleranti gli ambienti umidi (tra le graminacee i giavoni e il riso selvatico).
Nella risicoltura del passato il controllo della vegetazione infestante era fatta con i sali di rame sciolti nell'acqua delle risaie per controllare le alghe, e la «monda», cioè la scerbatura a mano, fatta con due passaggi a distanza di 15 giorni nel mese di giugno, che richiedeva l'impegno di ben 45 giornate per ettaro. Motivi economici hanno ormai da tempo reso non più pro­ponibile la scerbatura, motivi tossicologici hanno limitato l'impiego del rame per il disalgo.
Sono, quindi, stati messi a punto mezzi chimici di controllo che hanno avuto una larghissima diffusione in tutte le zone risicole grazie alla loro insosti­tuibile efficacia.

- Flora di sostituzione
Purtroppo l'impiego generalizzato di diserbanti sulle colture di riso che si ripetono sullo stesso terreno anche per parecchi anni, ha dato luogo ad un progressivo e profondo cambiamento della flora infestante le risaie perché specie che in passato avevano importanza secondaria sono diventate dominanti perché resistenti ai diserbanti più diffusi («flora di sostitu­zione»). Ciò ha reso incessante la ricerca di nuove armi chimiche contro le infestanti emergenti e, di conseguenza, non semplice la tecnica del loro con­trollo, che va fatto in modo diversificato in base alla flora specifica e con pon­derazione, tenendo conto che i prodotti vengono immessi nell'acqua della risaia che può veicolarli nel sottosuolo o nei corpi idrici superficiali.
I molteplici problemi che si presentano nel controllo delle infestanti della risaia possono essere schematicamente indicati come segue:
- alghe
- giavoni
- ciperacee, butomacee, alismatacee
- eterantera
- riso selvatico.

- Controllo delle alghe («disalgo»)
Le infestazioni di alghe sono dannose specialmente durante il primo sviluppo del riso per il feltro che esse formano con l'intreccio dei loro filamenti sul fondo della risaia o in superficie.
Le alghe prevalenti nelle risaie sono quelle verdi e quelle azzurre; in passato le prime erano prevalenti ma facilmente controllabili, mentre attual­mente stanno aumentando le seconde.
Le alghe verdi formano un feltro galleggiante che ostacola l'emergenza dall'acqua delle piantine di riso, le cui foglie restano invischiate nel feltro algale trovando difficoltà ad uscire alla luce. Le seconde formano il loro feltro prima sul fondo, dove le plantule di riso stanno compiendo il loro primo svi­luppo, per poi sollevarsi diventando galleggianti: in questo modo le plantule di riso vengono sradicate e portate in superficie dove tra l'altro le aspetta il rischio di essere spinte alla deriva dal vento e dal moto ondoso, finendo ammassate nella parte sottovento del campo.

- Controllo dei giavoni
I giavoni comprendono parecchie specie graminacee del genere Echinochloa e sono le infestanti del riso più frequenti e invadenti, contro le quali è quasi sempre necessario intervenire perché bastano pochissime piante per metro2 (6-7) per causare perdite di produzione gravissime. Per il diserbo si dispone di prodotti impiegabili in pre-semina o in post-emergenza precoce (classico pro­dotto: il molinate) o in post-emergenza anche tardiva, quindi come eventuale completamento (prodotto tipico è il propanile). Il diserbo contro i giavoni con­sente abbinamenti molto interessanti per allargare il controllo ad altre specie.

- Controllo delle Ciperacee, Butomacee, Alismatacee
Il controllo si fa con diserbi di post-emergenza prevalentemente a base di ben­sulfuron-metile o composti ormonici, generalmente abbinabili ai giavonicidi. Controllo dell'eterantera (Heteranthera limosa, H. reniformis).
È un'infestante nuova, introdotta dall'America centrale alcuni anni fa e che infesta ormai la quasi totalità delle risaie italiane. I soli trattamenti efficaci sono quelli preventivi fatti prima della semina su risaia asciutta. Il principio attivo specifico ed efficace è l'oxadiazon.

- Controllo delle graminacee perenni e del «riso crodo»
Un gruppo di specie tipicamente infestanti le risaie è costituito da graminacee tra le quali le più temibili sono la Leersia oryzoides e soprattutto il riso crodo. Il riso crodo è riso selvatico che ha la caratteristica di disseminare la granella («crodatura») prestissimo, già dopo la maturazione lattea, determinando nel terreno una carica infestante di piante di riso selvatico incontrollabile in mezzo al riso coltivato. Per entrambe queste specie la lotta è difficile e si basa sulla tattica di fare una «finta semina» e ritardare la semina del riso per dar tempo alle infestanti di emergere e di essere controllate.

Raccolta e utilizzazione

Raccolta

Il riso seminato in aprile giunge alla maturazione fisiologica in epoche diverse secondo la precocità della varietà: ad esempio quelle precoci raggiungono la maturazione in settembre, mentre quelle tardive vi pervengono alla fine di ottobre.
La raccolta è preceduta dall'asciutta definitiva che si fa un paio di set­timane avanti la maturazione per accelerare questa e rendere praticabile il ter­reno. È necessario che la raccolta sia fatta con tempestività perché un ritardo aumenta le perdite per crodatura (o «sgranellatura») e la quota di cariossidi che non si «sbiancano» durante la lavorazione del risone.
La raccolta si può fare, come per il frumento, con il sistema della mieti­tura o della mietitrebbiatura. Il secondo sistema ha soppiantato completa­mente il primo.
La trebbiatura dei covoni veniva poi fatta con trebbiatrici fisse, sull'aia.
La mietitrebbiatura del riso può presentare qualche difficoltà per la problematica praticabilità del terreno della risaia da parte della pesante mieti­trebbiatrice. Per ovviare a questo inconveniente le mietitrebbiatrici da riso sono generalmente semi-cingolate. Si tratta di macchine semoventi con barre di taglio da 3 a 4,5 m di lunghezza e capacità lavorativa di circa 1 ha all'ora.
Il prodotto che si ottiene dalla trebbiatura è il risone o riso vestito.

Essiccazione

Il risone che esce dalla trebbiatrice ha sempre un'umidità così alta (25% in media) che non è possibile conservarlo o lavorarlo; perciò deve essere sotto­posto ad essiccazione. In passato si utilizzava il solo calore solare stendendo il riso sull'aia; ma il decorso stagionale spesso sfavorevole ostacolava l'opera­zione e talvolta recava pregiudizio, anche grave, alla qualità del prodotto. Per­tanto ha incontrato molto favore la pratica dell'essiccazione artificiale in appo­siti essiccatoi ad aria calda e a moderata temperatura (35-40 °C); questa opera­zione va fatta subito dopo la raccolta, comunque non oltre 15-20 ore da questa, pena fermentazione.
Il riso uscito dall'essiccatoio subisce una pulitura per ventilazione e vagliatura onde liberarlo dalle impurità inerti, dai semi di malerbe e dalla gra­nella vuota, immatura, ecc. Poi si immagazzina in attesa di essere ceduto all'in­dustria che lo lavorerà.
Produzione e lavorazione del prodotto.
Buone sono da considerare per l'Italia rese di 7-8 t/ha di risone; sono segna­late punte non eccezionali di 10 t/ha. Nella maggior parte delle plaghe risicole del mondo le rese sono molto più basse (2-2,5 t/ha).

Lavorazione del risone

Come s'è detto, il prodotto della trebbiatura è composto dalle cariossidi di riso ancora avvolte nelle glumelle. Scopo della lavorazione è quello di staccare le giumelle ed anche parte del pericarpo della cariosside insieme a parti proprie del seme, mediante una serie di operazioni che descriveremo qui appresso nelle loro fasi principali: pulitura (separazione delle impurezze dal risone), rot­tura delle reste (nel caso di risi aristati), sbramatura (distacco e separazione dalla cariosside delle glumelle, che vanno a costituire la lolla), sbiancatura o raffinatura (si allontanano gli strati esterni del granello e l'embrione, o gemma, con ripetuti passaggi alle macchine sbiancatrici).
Il riso raffinato, che è bianco e conservabile, può subire un altro tratta­mento, la oleatura o la brillatura.
Quindi nel corso della lavorazione si ottengono successivamente questi prodotti.
- Riso greggio (o r. «cargo»), privato della lolla, che conserva ancora pericarpo ed embrione.
- Riso sbramato speciale, cioè semigreggio, che ha subito una lavorazione incompleta alla sbiancatrice.
- Riso mercantile, riso adatto al consumo, però non lavorato a fondo (due pas­saggi di sbiancatrice) e di non grande serbevolezza.
- Riso raffinato, riso bianco passato 3-4 volte alla sbiancatrice che ha privato completamente la cariosside del pericarpo, e che perciò ha subito una lavo­razione completa. Lungamente serbevole, adatto ad essere esportato, è il riso che si adopera per sottoporlo a lavorazioni speciali.
- Riso camolino od oleato, che si ottiene oleando leggermente la superficie del riso raffinato con olio inodoro di lino o di vasellina.
- Riso brillato, che si prepara da quello raffinato rendendolo brillante a seguito di lavorazione con talco e glucosio.

Il riso raffinato, oleato, brillato si usa nell'alimentazione umana; quello sbramato trova impiego nella fabbricazione della birra.
In epoche recenti si sono ideati dei sistemi speciali di lavorazione che migliorano le caratteristiche organolettiche e il valore alimentare del riso e lo rendono più resistente alla cottura («parboiling»). Con il «parboiling» il risone viene ammollato, cotto a vapore ed essiccato; in tal modo l'amido viene gelati­nizzato e i sali, grassi e proteine si diffondono all'interno dell'endosperma. Ne risulta una riduzione delle rotture durante la successiva lavorazione e un aumento della digeribilità e della resistenza alla cottura e allo spappolamento.
La resa alla lavorazione, cioè il riso lavorato che si ricava da 100 kg di risone, si aggira su tra i 60 e i 66 kg. La lavorazione modifica notevolmente la composizione del riso. Infatti, oltre che della lolla, la cariosside viene privata del pericarpo, del germe e dello strato aleuronico, perdendo quindi una notevole quantità di cellulosa, di sostanze minerali, di grassi e di sostanze proteiche.
La paglia del riso trova usi analoghi a quella del frumento sebbene sia meno assorbente di questa, e viene anche destinata alla fabbricazione di cellu­losa da carta.

Avversità e parassiti

Numerose sono le avversità che il riso incontra.
Avversità meteoriche
Il vento è dannoso quando, dando origine a moti ondosi, compromette il radicamento delle piantine. Più avanti nello sviluppo il vento può essere causa di allettamento o sgranatura.
Avversità di origine fisiologica
La colatura apicale consiste nell'atrofia di una parte del panicolo, solitamente quella distale, che può portare alla sterilità fin del 50% delle spighette. Oltre alla predisposizione varietale, cause predisponenti sono le basse temperature nel periodo tra il viraggio e la spigatura.
Una qualche importanza occasionalmente riveste anche il gentiluomo (straighthead: testa alta, in inglese) che si manifesta con colorazione verde cupo della pianta, foglie erette e panicolo che resta completamente sterile e, per questo, assume portamento eretto. II fatto che si manifesti in risaie in successione a prati vecchi, fa ritenere che ne siano causa fenomeni putrefattivi a carico della sostanza organica.
Analoga come eziologia è una malattia di natura fisiologica sporadica in Italia ma molto comune in Giappone, l'akiochi (o declino autunnale), che sarebbe conseguenza della presenza nel terreno di acido solfidrico formatosi nell'ambiente anaerobico del terreno a risaia.
Parassiti animali
Particolare importanza assumono i nemici che attaccano le piante nel periodo tra la germinazione e l'emergenza dall'acqua.
Tra i ditteri danni notevoli al germinello provocano le larve del lecca­riso (Cricotopus spp.), erodendo i germinelli e le foglie sommerse o adagiate sull'acqua, e la Hidrellia griseola, le cui larve provocano diradamenti minando il tessuto verde delle foglie delle giovani piante appena emerse dall'acqua. In genere questi ditteri si combattono indirettamente con asciutte. Il crostaceo Triops cancriformis (coppetta) può provocare fallanze per mancata germina­zione o per sradicamento con i suoi movimenti che sollevano la terra del fondo e intorbidano l'acqua. Un'asciutta è un trattamento agronomico che può limi­tare il danno.
Parassiti vegetali
Il più dannoso parassita del riso è un fungo (Piricu­laria oryzae) responsabile di una sindrome molto variata che prende nome di brusone quando colpisce precocemente le foglie (provocando un danno limi­tato) e di mal del nodo e di mal del colletto quando colpisce la pianta ai nodi o all'ultimo internodo, con danni ben più gravi dato che ne consegue il dissecca­mento dell'intero panicolo. La diffusione della malattia è favorita da elevata umidità dell'aria durante o subito dopo la spigatura, da eccesso di azoto, da semine fitte, da abbassamenti bruschi di temperatura. L'impiego di varietà resistenti è il mezzo di prevenzione più efficace.
Anche l'elmintosporiosi (Helminthosporium oryzae) arreca danni gravis­simi, soprattutto fuori d'Italia, colpendo tutte le parti aeree della pianta. Attual­mente sta destando crescente preoccupazione anche in Italia. L'infezione si tra­smette con il seme che quindi deve essere scrupolosamente trattato.
Il mal del piede del riso (Sclerotium oryzae) si manifesta durante la maturazione con il disseccamento e il conseguente allettamento delle piante. L'attacco, visibile come lesioni nerastre, comincia sulle guaine delle foglie basali e poi passa sugli internodi. Anche in questo caso il rimedio migliore è l'adozione di varietà resistenti.
Una virosi, il giallume, sta destando qualche preoccupazione nell'am­biente risicolo italiano; essa è diffusa da un afide, il Rhopalosiphon padi.

a cura di Elena Nelli e Francesco Sodi

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